Lo scorso fine settimana una terribile notizia è arrivata dal Burkina Faso: il villaggio di Barsalogho, è stato vittima di un terribile attentato terroristico, rivendicato da Al Qaeda, che ha causato la morte di centinaia di persone, tra cui donne, giovani e bambini indifesi.
I motivi di tale crudeltà sono vari, come racconta padre Julien Tapsoba, sacerdote orionino burkinabé: “Dal 2015 il paese conosce questa inquietudine, causata dagli stessi gruppi che seminano il terrore tutt’oggi. All’inizio dicevano di volere più giustizia sociale, poi, visto che ci fu un sollevamento popolare che fece partire il presidente di allora, quei gruppi passarono da giustizia sociale alla volontà di ristabilire la democrazia. Da allora non abbiamo più avuto pace. I presidenti si sono succeduti, ma questi gruppi hanno un disegno che solo loro sanno, rendendo difficile il dialogo. In principio se la prendevano con l’esercito, ma visto che con questo nuovo presidente, benvoluto dal popolo, l’esercito si è molto rinforzato, allora se la prendono con i civili con la complicità di alcuni cittadini. È una situazione terribile”. Eppure, dei tentativi per sistemare la situazione ci sono stati: “Nel 2015 – spiega ancora padre Tapsoba – gli attacchi erano sporadici e il governo di allora cercava in tutti modi di stabilire un dialogo con i terroristi, ma l’accordo durava fin che durava, fino alla tragedia successiva. La violenza ha raggiunto il suo più alto livello in questi ultimi anni non perché sono diventati più forti (forse), ma soprattutto perché il bersaglio è la gente civile, non armata e difficile da difendere su una superficie di 274.000 km²”.
Anche l’aspetto religioso, ovviamente, ha un ruolo in questa storia: “In Burkina Faso, grazie a Dio, esiste una tradizione millenaria di convivenza pacifica tra le diverse confessioni religiose. Ma alcuni fondamentalisti islamici hanno convinto altri musulmani a prendere le armi per difendere la religione islamica e l’occidentalizzazione della società: ad esempio, obbligano tutte le donne dei territori che conquistano, musulmane e cristiane, a coprirsi dalla testa ai piedi, per evitare rappresaglie. Molte sono costrette a lasciare le loro case, i loro campi, il loro lavoro per sfuggire alla morte. Per loro il cristianesimo è percepito come una religione occidentale, quindi vettore dell’occidentalizzazione della società. Pertanto, alcuni gruppi terroristici prendono di mira le chiese e i cristiani, di conseguenza, diventano prede vulnerabile”. Non è facile per padre Tapsoba immaginare una soluzione per questa situazione: “Secondo me – dice – c’è bisogno della cosa che più al mondo è costosa in questo momento: la sincerità. C’è bisogno di sincerità: da parte di quei cittadini che fingono di lottare contro il terrorismo, ma che in realtà sono i loro stretti collaboratori; da parte di quei gruppi che cambiano sempre le carte del gioco a loro piacimento; da parte dei nostri alleati tradizionali che devono controllare rigorosamente tutti gli aiuti affinché non finiscano nelle mani dei gruppi terroristici perché in qualche modo questi sono economicamente molto sostenuti. Ci vuole sincerità, ma tanta e soprattutto la preghiera per quei figli di Dio smarriti. Perché alla fine dei conti, solo Dio può cambiare l’uomo, dandogli un cuore di carne al posto di quello di pietra”.
L’attacco della scorsa, settimana, come detto, è avvenuto a Barsalogho, che si trova nel centro-nord del paese, 245 km a nord della capitale Ouagadougou, e che è la città di origine anche di un chierico orionino, Hervé Ouedraogo Ziwend-Taore. Per lui, quindi, le ore successive all’attacco sono state di grande tensione, come racconta: “Ho provato subito a chiamare la mia famiglia per sapere come stesse, ma non avevano linea e quindi solo il giorno successivo sono riuscito a parlare con loro e a farmi raccontare cosa era accaduto veramente. Avevo provato a cercare informazioni su internet e sui social ma lì non si capisce molto... Purtroppo tanti giovani hanno perso la vita, perché a Barsalogho il governo stava realizzando un'opera di protezione della città, un fossato il cui scavo stava impiegando tanti giovani, uccisi purtroppo mentre stavano lavorando. Tanti ragazzi della mia parrocchia sono morti, e tantissimi altri di tutta la città. Le prime cronache parlavano di 100 o 200 morti, ma da lì mi hanno detto da lì che sono state oltre 500 o 600. Tutte persone innocenti che hanno perso la vita”. E anche per chi è sopravvissuto, la situazione è molto difficile: “I terroristi – racconta il chierico Hervé – volevano entrare in quel paese da tempo, avevano cercato più volte di farlo, ma non ci erano riusciti. Ora sì, e quindi le persone sono molto sconvolte per quanto accaduto, ma anche spaventate perché non si sa se, quando e dove i terroristi torneranno a colpire. Il governo è stato lì, anche il presidente, per dare un po' di conforto alle persone e ridare loro speranza, ma è difficile. Adesso l’unica cosa che si può fare è pregare”. Hervé conserva però la speranza per il suo paese: “Il futuro del Burkina Faso spero possa essere di pace, è la prima cosa che chiedo al Signore. Dobbiamo avere fede, perché oggi c'è la guerra, c'è sofferenza, ma questi problemi fanno parte della vita, dobbiamo accettarli, ma credere soprattutto che il Signore ci aiuterà ad avere un futuro migliore. Non è facile, perché oggi c'è una sofferenza totale, che se non si è vista non si può comprendere. In tanti parlano da lontano, ma bisogna toccare con mano cosa la popolazione sta vivendo e quanto sta soffrendo”. Per questo, un aiuto potrebbe arrivare anche da chi può raccontare la situazione del Burkina Faso: “Qui in Europa di parla poco dell’Africa. Ci sono guerre terribili in corso, come quella in Ucraina o in Palestina, ma sarebbe bene parlare anche di quanto accade in Africa, perché aiuterebbe le persone, darebbe loro conforto, attenzione e speranza”.