Data del decesso: 24 Aprile 1972
Luogo del decesso: Genova
Luogo di sepoltura: Tortona (AL)
Sac. FIORI Giuseppe, da Codevilla (Pavia), morto a Genova nel 1972, a 76 anni di età, 58 di Professione e 52 di Sacerdozio.
Don Giuseppe Zambarbieri in "Atti e Comunicazioni della Curia Generalizia", Aprile - Giugno 1972, p-100-102:
La Morte di Don Fiori
Mentre accompagnavamo, così, don Bariani alla sua ultima dimora, il caro don Fiori all'ospedale di Tortona ci preoccupava ogni giorno più, non vedendo segni di ripresa.
Era ricoverato dal 25 febbraio e mi impressionava, nelle frequenti visite, il presentimento che aveva di essere ormai alla fine. « Sento che questa volta non ce la faccio » — mi confidava, sorridendo bonariamente com'era solito. E quando gli avevo fatto l'augurio: « Vedrete che le forze torneranno e potrete essere con noi al Santuario per la concelebrazione del 12 marzo », mi aveva risposto: « Al Santuario di qui o al Santuario di là... — Perchè avesse il conforto di essere in una nostra casa, (sentiva tanto il bisogno di sentirsi come in famiglia) dall'ospedale di Tortona — dove era seguito con incomparabile premura specie dal primario prof. Carlo Uggeri — lo si è trasferito il 27 marzo alla nostra piccola clinica di San Roberto presso l'Istituto Paverano di Genova. Ebbe un grande sollievo nel sentirsi circondato da confratelli e suore che già lo avevano curato, e quasi prodigiosamente guarito nel 1967. (Nell'ottobre '66 era stato gravissimo: ricordo che Mons. Angelo, da Villa Moffa dov'era stato il giorno della Mater Dei per le Professioni, era passato all'ospedale di Tortona per una visita e lo aveva trovato in condizioni tali che, dandomi notizie a Buenos Aires, mi preannunciava la fine ormai imminente). — Certo, anche per una ripresa così insperata, don Fiori era rimasto tanto riconoscente a! Piccolo Cottolengo Genovese e vi tornò con piacere e speranza. Un qualche sollievo di più, nei primi giorni, e poi il graduale aggravarsi del male, come avevano pronosticato anche i medici di Tortona. La sera del 12 aprile gli ho amministrato l'Olio degli Infermi, che aveva ricevuto già il 29 agosto, edificando con la sua pietà, in occasione della benedizione dei malati al Santuario della Madonna della Guardia. Eravamo in parecchi nella sua cameretta e restammo ammirati quando — prima del rito — con serenità e fortezza di spirito pari alla sua semplicità — ci disse: « lo non so se morirò o non morirò: ma desidero ricevere l'Olio Santo per dimostrare ancora una volta la mia piena disponibilità al volere di Dio ».
La nostra commozione doveva poi crescere, non solo per la intensa pietà con cui rispose a tutte le preghiere, ma per i sentimenti espressi al termine del rito. « Ora — ci disse — desidero baciare le mani al mio Direttore generale e a tutti i presenti per esprimere la mia riconoscenza a Don Orione e alla Congregazione, che mi è stata sempre madre, chiedendo perdono a tutti se non ho sempre corrisposto come avrei dovuto... — Ero vicinissimo a lui, e non ho fatto a tempo a impedire che mi prendesse le mani. Avevamo tutti le lacrime agli occhi. Il 14 ebbe la gioia di un telegramma con la benedizione del Santo Padre: aveva sempre voluto tanto bene al Papa e ritenne quel premio benedicente come una ricompensa alla sua fedeltà. Il 15 nella cameretta c'era il Card. Siri, con parole tanto affettuose ed una benedizione consolantissima. Ancora qualche alternativa di speranza. La domenica 23 aprile da Firenze dovevo tornare a Roma. Alla stazione mi è parso di sentire come una voce che mi chiamava a Genova e la sera ero di nuovo al suo capezzale. Lo trovai alla fine, così spossato che non riuscì a proferire una parola. Ma gli occhi erano eloquenti e capivo la sua gratitudine perchè ero tornato accanto a lui, la sua compiacenza per le così belle notizie che gli portavo della splendida commemorazione a Palazzo Vecchio di Firenze. Con la mano indicò appena: Non posso parlare... — Quando lo abbiamo benedetto, dopo una preghiera alla Madonna, ringraziò con gli occhi ma non ebbe la forza di segnarsi. Ebbe ancora una piccola ripresa al mattino, dopo una notte tanto agitata e sofferta. Non solo mi riconobbe ma si segnò con tanta pietà quando gli ho dato la benedizione. Ma era ormai l'inizio dell'agonia. Ci fece capire che desiderava si continuasse a pregare. Rispondeva alle litanie e alle giaculatorie, muovendo le labbra. Quando già gli occhi s'erano fatti immobili, dava ancora un cenno percettibile col capo, mentre recitando le litanie — intenzionalmente — ripetevo qualcuna delle invocazioni: Mater boni con-silii... Janua coeli — Auxilium christianorum... — Don Petrelli, che gli era al capezzale col fratello Alfonso gli teneva da tempo l'ossigeno e io gli suggerivo ancora giaculatorie all'orecchio, quando alle 9,30 andava incontro al suo Signore, così, con la sua grossa corona nera al collo (da quanto tempo?) e un crocifisso di metallo che portava sul petto forse dagli anni del suo noviziato.
Ebbe generosi suffragi dalla famiglia del Piccolo Cottolengo Genovese; con don Parodi e don Sciaccaluga, tutti gli volevano un gran bene. Dopo la concelebrazione nella cappella del Paverano, la salma sul mezzogiorno del 25 aprile venne portata al Santuario della Guardia di Tortona dove nel pomeriggio un gran numero di confratelli, di ex alunni, di amici gli ha reso un tributo di affetto che non poteva essere più solenne, presente il Vescovo Ausiliare Mons. Angeleri, molti sacerdoti diocesani, rappresentanze venute dal suo pase natale e da tante nostre case anche lontane.
Ho baciato la bara prima che venisse tumulata accanto a quella di don Bariani, intendendo ringraziarlo ancora una volta anche così per tutto il bene voluto a Don Orione in tanti anni di vita religiosa, senza risparmiarsi mai finché le forze lo ressero: in Italia, a Rodi, nuovamente in patria con tanti incarichi di responsabilità, e sempre pronto all'obbedienza anche quando ormai sessantenne — con la mamma anziana e gravemente malata — accettò nel 1952 di andare in Argentina, ben sapendo che a Buenos Aires lo aspettava il Signore con la croce sulle spalle e la mamma non l'avrebbe più trovata al suo ritorno... — Questo aveva imparato dal Direttore Don Orione, e questo insegnamento ci lascia — fra tanti — come più preziosa eredità.
Ora non sentiremo più la sua voce, sempre così calda e squillante. Sapeva che lo ritenevamo uno dei nostri più valorosi oratori e se ne compiaceva, sempre pronto, e in ogni occasione, a prendere la parola, grato anzi ogni volta che lo si invitava. Quell'oratoria un poco esuberante dei tempi andati e pur sempre bene accetta perchè rivelatrice di un amore davvero grande per la Madonna, per il Papa, per Don Orione. Erano i suoi temi preferiti, con squarci lirici — come in un discorso a Reggio Calabria, rapito dall'azzurro del cielo e del mare — o con intermezzi non propriamente liturgici, come in due non meno famosi discorsi a Monte Pellegrino per Santa Rosalia e a Messina per la Madonna Consolata. Noi, un po' birichini, si sorrideva a volte: ma ci siamo anche, e più spesso, commossi: come durante l'ultimo Capitolo generale quando ad Albano Laziale indugiò in lontani ricordi del « Direttore » (Don Orione era sempre rimasto per lui « il Direttore ») trasportandoci in un'atmosfera di tanta intimità familiare e tale dolcezza che il ripensare a quelle ore, indimenticate e indimenticabili, vuol dire rivivere i momenti più belli dell'intero Capitolo.
Molti di voi, o carissimi, sanno quanto ho voluto bene a don Fiori, proprio per la sua semplicità, per il suo gran cuore, e quanta benevolenza don Fiori ha sempre nutrito per me.
Andavo alla Casa Madre spesso, in questi anni passati, e proprio per il gaudio che mi veniva da ogni incontro con lui, sempre così affettuoso e premuroso. Gli devo una gratitudine tutta speciale e ho inteso esprimerla anche con queste righe che il cuore mi ha suggerite. Accettatele come un omaggio riconoscente e filiale alla sua memoria, unendovi tutti a me nella carità di suffragi.
Da "Atti e Comunicazioni della Curia Generalizia", Aprile - Giugno 1972
Don GIUSEPPE FIORI
da Codevilla (Pavia), morto nel Piccolo Cottolengo di Genova II 24-IV-1972 a 77 ani di età, 60 di professione e 53 di sacerdozio.
Don Orione stesso lo ricevette il 9 gennaio 1909 nella Casa di Tortona, e, nella festività dell'Assunta del medesimo anno, lo rivestì dell'abito clericale.
Ordinato Sacerdote, da Mons. Grassi, Vescovo di Tortona, il 14 giugno 1919, fu mandato da Don Orione a dirigere l'Istituto S. Cuore di S. Severino Marche, alla fine dello stesso anno. Nel novembre del 1920, in seguito alla partenza di Don Adaglio per la Palestina, lo sostituì nella direzione dell'Istituto S. Filippo Neri dri Via Alba in Roma. Dal 1921 al 1935 fu contemporaneamente Direttore degli Istituti S. Filippo di Roma, S. Cuore di Anzio e Bambin Gesù di S. Oreste (Roma).
Dal 1935 al 1947 diresse l'Ospizio dei Cavalieri a Rodi, nell'Egeo. Nel contempo fungeva da Cappellano della G.I.L. e nel 1941 la sua attività educativa fra i giovani venne ufficialmente riconosciuta dall'Autorità Civile mediante il conferimento della onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia.
Rientrato in Italia, nel 1947, diresse l'Istituto Manin di Venezia. Poi venne nominato, successivamente, Direttore Provinciale di «S. Marziano» in Milano, di « N.S. della Guardia» in Argentina (1952-1955), e dei «SS. Apostoli» in Roma (1958-1959).
Fu pure Direttore dell'Istituto Filosofico di Bra, del « Berna » di Mestre, e della Casa Madre di Tortona ove rimase in carica fino al 1968. Ammalatosi, andò ripetutamente in ospedale per disturbi alla prostata, la cui periodica recrudescenza gli procurò gravi sofferenze fisiche e morali. Si aggravò nuovamente dopo Natale e fu ricoverato all'Ospedale di Tortona. Alla fine di marzo fu trasferito al Paverano di Genova, ove ritornò al Signore la mattina del 24-4-1972.
Sacerdote e Religioso di gran cuore, semplice e di ottimo spirito, fu fra i principali collaboratóri di D. Orione e D. Sterpi che lo stimarono molto e furono sempre da lui ricambiati con grande venerazione ed affetto filiale.
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