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26 Aprile 2025

La condivisione di una stessa fiamma: Nel fuoco dei tempi nuovi

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In data 25 giugno 2022, in occasione del 150° anniversario della nascita di San Luigi Orione e della conclusione del XV Capitolo Generale dei Figli della Divina Provvidenza, Papa Francesco rivolse un importante discorso–appello alla famiglia orionina:

«Scriveva Don Orione agli inizi del Novecento: “Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito; tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra, e non più”. E si domandava: “Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? […] Noi dobbiamo dunque chiedere a Dio non una scintilla di carità, […] ma una fornace di carità da infiammare noi e da rinnovare il freddo e gelido mondo, con l’aiuto e per la grazia che ci darà il Signore” (Scritti 20,76–77).

Voi, Figli della Divina Provvidenza, come tema del vostro Capitolo Generale da poco concluso, avete scelto un’espressione tipica dell’ardore apostolico di Don Orione: “Facciamoci il segno della croce e gettiamoci fidenti nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo” (Scritti 75,242). Ci vuole coraggio! Per favore, che il fuoco non resti solo nel vostro focolare e nelle vostre comunità, e neppure solo nelle vostre opere, ma che possiate “gettarvi nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo”.

Gesù disse di sé: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Il fuoco di Cristo è fuoco buono, non è per distruggere, come avrebbero voluto Giacomo e Giovanni quando chiesero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54). No, non è quel fuoco. Ma Gesù rimproverò i due fratelli. Il suo è un fuoco di amore, un fuoco che accende il cuore delle persone, un fuoco che dà luce, riscalda e vivifica.

Nella misura in cui arde in voi la carità di Cristo, la vostra presenza e la vostra azione diventa utile a Dio e agli uomini, perché – scriveva San Luigi – “la causa di Cristo e della Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere, la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio. Opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono! E tutti vi crederanno” (Lettere I,181; Scritti 4,280).

Giustamente, nel Capitolo Generale, avete messo al centro del rinnovamento la relazione con Dio, cuore della vostra identità. Il fuoco si alimenta ricevendolo da Dio con la vita di preghiera, la meditazione della Parola, la grazia dei Sacramenti. Don Orione fu uomo di azione e di contemplazione. Per questo esortava: “Gettiamoci ai piedi del Tabernacolo”, e anche: “Gettiamoci ai piedi della croce”, perché “amare Dio e amare i fratelli sono due fiamme di un solo sacro fuoco”» (Lettere II,397)...

La testimonianza dell’amore nella comunità religiosa e nella famiglia è la conferma dell’annuncio evangelico, è la “prova del fuoco”. “Una comunità bella, forte – sono parole di Don Orione – e dove vive piena concordia dei cuori e la pace, non può non essere cara, desiderevole e di edificazione a tutti” (Lettere I,418). E diventa attraente anche di nuove vocazioni.

Infine, vorrei tornare su quella esortazione a “gettarsi nel fuoco dei tempi nuovi”. Questo richiede di guardare il mondo di oggi da apostoli, cioè con discernimento ma con simpatia, senza paura, senza pregiudizi, con coraggio; guardare il mondo come lo guarda Dio, sentendo nostri i dolori, le gioie, le speranze dell’umanità. La Parola–guida rimane quella di Dio a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo […]. Sono sceso per liberarlo” (Es 3,7–8). Dobbiamo vedere le miserie di questo nostro mondo come la ragione del nostro apostolato e non come un ostacolo. Il vostro Fondatore diceva: “Non basta piagnucolare sulla tristezza dei tempi e degli uomini, e non basta dire: O Signore! O Signore! Niente rimpianto di un’età passata. Niente spirito triste, niente spirito chiuso. Avanti con serena e imperturbabile operosità” (Scritti 79,291)».[1]

La carica simbolica del “fuoco” che deve segnare ogni azione apostolica orionina, associata a quella dei “tempi nuovi”, intesi come occasione propizia per realizzare un profondo cambiamento nel cuore dei Religiosi, venne adottata ben presto da don Luigi Orione. Il 6 ottobre 1918, nei locali dell’episcopio di Tortona, si svolse la Prima Riunione dei propagandisti diocesani dell’Unione Popolare. Alla riunione era presente anche don Orione. Nel verbale della riunione venne riportato questo suo appassionato appello:

«L’umanità, afflitta da tanti mali, ha bisogno di ristorarsi nella fede: ha bisogno del cuore di Gesù Cristo. Andiamo al popolo e portiamogli Gesù Cristo… È urgente necessità e dovere di gettarci nel fuoco dei tempi nuovi, per l’amore di Gesù Cristo e del popolo, nonché del Paese, poiché l’umanità ha oggi supremamente bisogno di ristorarsi nella fede e di rivivere nella carità del cuore di Gesù Cristo: carità all’anima del popolo e carità al suo corpo: carità che sarà giustizia per tutti nella società elevare il popolo a Gesù Cristo cominciando a curarne le piaghe morali con la fede e con il trarlo alla vita cristiana, ma di qui andare alle piaghe sociali e aiutarlo in tutti i modi».[2]

All’indomani della riunione, don Orione, da Tortona, informò un canonico, suo amico, con queste parole:

«Caro canonico, La riunione andò abbastanza bene… In quest’ora, stare più oltre tristemente guardandoci, non si può: dobbiamo farci il segno di croce e gettarci nel fuoco dei tempi nuovi, per l’amore a Gesù Cristo, al popolo, che invoca un rimedio ai suoi mali e, per cercarlo si getta in braccio al Socialismo, disertando le chiese e rinunciando alla fede e alla vita cristiana e anche per l’amore al Paese».[3]

In altre minute senza data ritroviamo lo stesso accorato appello rivolto ai suoi sacerdoti e chierici:

«Facciamoci il segno della croce e gettiamoci fidenti nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo: la causa del popolo è la causa della Chiesa e di Cristo stesso... Non attendiamo il dopoguerra: Caritas Christi urget nos. Come possiamo mai amare questa patria ufficiale che ha scristianizzato il nostro popolo, ha laicizzato le scuole, ha dissacrate le famiglie, ha calpestato quanto un cattolico ha di più sacro e di più caro e tiene imprigionato il Vicario di Gesù Cristo? Meglio morire, piuttosto che vivere così!»[4]

«Gettiamoci nel fuoco dei tempi nuovi per fare il bene, cacciamoci in mezzo al popolo per salvarlo. Troveremo sempre nuova fede e nuovo coraggio ad operare, se non lavoreremo per fini umani. Ariamo e poi riseminiamo Gesù Cristo nell’anima del popolo: l’umanità oggi ha supremamente bisogno del Cuore di Gesù Cristo».[5]

In altre lettere, don Luigi Orione ritorna sul tema dei “tempi nuovi”. Da Buenos Aires, in data 6 marzo 1935, scrive alle benefattrici e ai benefattori del Piccolo Cottolengo Genovese:

«La mano della Santa Madonna va maternamente allargando, anche qui, le tende della divina Provvidenza. E quel Dio, che dalle pietre ha suscitato i figli d’Abramo, mi pare che, per i tempi nuovi, prepari nuove misericordie; mi pare che il Suo Cuore Sacratissimo susciterà dal nulla un grande esercito, adoprando ciò che è debole per confondere ciò che è forte e ciò che non è per confondere quello che, agli occhi del mondo, è: un esercito pacifico, nella Chiesa e per opera della Chiesa, l’esercito o grande apostolato della Carità, che colmerà di amore i solchi di odio».[6]

Infine, su un semplice foglietto senza data, è presente questo pensiero scritto da don Orione:

«Maturano tempi nuovi: prepariamoci in Cristo! Fede! Fede! Fede! Leviamo lo sguardo e le anime alle alte cime della perfezione in Cristo Crocifisso. Rinnovare, unificare, edificare in Cristo. Lode, benedizione e grazie senza fine alla somma e individua Trinità per tutti i secoli. Amen! Amen!»[7]

Don Orione ha sempre portato nel suo cuore il desiderio del martirio e veramente lo tradusse in una vita immolata con Cristo all’amore e alla salvezza dei fratelli: «Voglio stare nascosto nel Cuore di Gesù Crocifisso, ma andar per le strade e per le piazze col fuoco della carità».[8] E invitava poi anche i suoi figli: «Facciamo generosamente, della nostra vita tutta, un gioioso olocausto di cristiana e apostolica carità, un’ostia pura e monda di sacrificio ai piedi del Papa e della S. Chiesa. Dobbiamo essere tutti apostoli e martiri di carità. Dio sarà con noi».[9]

Per noi l’esperienza mistica di Don Orione costituisce un dono, un invito e un impegno: conoscere l’amore di Dio, di Gesù Cristo verso di noi e lasciarsi condurre dallo Spirito nella logica dell’amore: «La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio».[10] Questo vale sia nel cammino spirituale personale che nell’apostolato. Di qui, deriva la strategia della carità che usa il linguaggio della carità (la nostra predica è la carità).

Il nostro carisma ha numerose e differenti espressioni di attività concrete; tutte, però, sono espressioni dell’unico apostolato della carità che è il cammino ordinario e comunitario per raggiungere il nostro fine: Instaurare omnia in Christo! Anche nell’urgenza della nuova evangelizzazione, particolarmente avvertita nel nostro tempo, le opere della carità sono le nostre “cattedre” da dove evangelizzare e rendere credibile il messaggio di Cristo: «Opere di carità ci vogliono: esse sono l’apologia migliore della fede cattolica».[11]

Anche in molti documenti pastorali recenti, la spiritualità missionaria viene unita alla carità apostolica, particolarmente rivolta verso i più piccoli e poveri. Sull’esempio di San Luigi Orione, i suoi figli e figlie spirituali hanno il dovere di essere autentici apostoli/e della carità, una carità intelligente, dinamica, intraprendente e audace di fronte al compito di collaborare a unificare tutte le cose in Cristo.


[1] Il discorso integrale è riportato in Appendice III.

[2] Scritti 52,221.

[3] Scritti 31,21.

[4] Scritti 75,242.

[5] Scritti 79,287.

[6] Lettere II,205.

[7] Scritti 106,148.

[8] Scritti 63,171.

[9] Scritti 57,69.

[10] Scritti 4,280.

[11] Scritti 4,279.