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16 Settembre 2025

Madagascar: un viaggio di missione, incontro e speranza

I giovani partiti lo scorso agosto raccontano la loro esperienza missionaria in Madagascar.

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Il 7 agosto siamo partiti in diciannove, giovani tra i 18 e i 25 anni, con bagagli pesanti e i cuori pieni di attese. Accanto a noi c’era don Lorenzo Lodi, compagno di viaggio e di missione. Ad Antananarivo ci ha accolti il quartiere di Anatihazo, con i suoi colori intensi e i suoi contrasti, e soprattutto don Luciano Mariani: missionario orionino che da venticinque anni chiama il Madagascar casa. Per noi è stato guida e sostegno, ma anche padre e fratello, capace di indicarci le vie più dismesse della città e, allo stesso tempo, di accompagnare dubbi, domande, curiosità e momenti di fatica che ciascuno di noi esprimeva.

La nostra missione si è articolata in due tappe. Dal 9 al 15 agosto siamo stati nel villaggio di Tsaratanana, vicino a Faratsiho. Qui abbiamo vissuto giorni intensi di lavoro manuale: spostare mattoni, demolire parti della vecchia scuola e ridipingere quella nuova. Non era solo fatica fisica, ma un’occasione di incontro: accanto a noi c’erano i bambini del villaggio che, con ingegno e creatività, ci aiutavano a trasportare mattoni, trasformando il lavoro in un gioco e, allo stesso tempo, in un gesto di solidarietà autentica. La comunità ci ha accolti con un calore che non dimenticheremo. Una famiglia ha aperto la propria casa a ventuno “vasaha” – stranieri, come ci chiamano in malgascio – offrendoci pasti caldi e un tetto sotto cui riposare. Per gli abitanti era quasi incredibile vedere giovani europei, ragazze comprese, impegnati in mestieri umili e faticosi: un’immagine inusuale che ha suscitato curiosità e riconoscenza. Alcuni si fermavano per ringraziarci e quei sorrisi, quelle parole semplici hanno scaldato i nostri cuori più di ogni altra cosa, facendoci capire che anche con poco si può ricevere moltissimo.

Dopo un viaggio di rientro lungo e avventuroso, siamo tornati nella missione di Antananarivo, nel cuore del quartiere Anatihazo. Le mattine erano dedicate alle scuole: giochi, attività e incontri con i bambini. Erano momenti di leggerezza e di festa, ma dietro a quei sorrisi intravedevamo le fatiche quotidiane delle loro famiglie. Nei pomeriggi ci siamo messi al servizio della missione: pulizie accurate negli spazi comuni, affiancati dai due mitici chierici malgasci Ferdinand e David, e a turno le visite alle case dei bambini. Queste ultime sono state per molti di noi l’esperienza più forte e trasformativa mai vissuta. Ci siamo trovati davanti a “case” che, ai nostri occhi, erano poco più che un insieme instabile di lamiere, assi e mattoni: spesso senza tetto, sempre vulnerabili alla pioggia. Un solo letto matrimoniale per sei persone, genitori che scelgono di dormire a terra pur di lasciare spazio ai figli, famiglie che vivono accanto a discariche e cercano nella spazzatura qualcosa da rivendere per arrivare a fine giornata. Scene che ci hanno lasciato con il cuore inquieto.

Eppure, è un’inquietudine che non paralizza, ma smuove. È l’inquietudine buona che spinge al cambiamento. In mezzo a tanta fragilità abbiamo scoperto la dignità e la forza di chi vive con pochissimo: un insegnamento che ci interpella e ci invita a non restare indifferenti.

Sono stati giorni che ci hanno cambiati. Abbiamo visto la povertà da vicino, ma non come cifra di mancanza: piuttosto come spazio dove la relazione diventa essenziale. Ci ha colpito la capacità delle persone di sorridere, accogliere, donare anche quando hanno pochissimo, soprattutto durante la messa della domenica.

Come gruppo, torniamo con una nuova consapevolezza: la vera ricchezza non è accumulare, ma creare legami che sostengono e curano. La missione ci ha insegnato che anche un piccolo contributo può generare speranza e che la relazione autentica è capace di guarire ferite più profonde di quelle materiali.

Non torniamo a casa soltanto con dei ricordi impressi nella memoria, ma con una responsabilità che ci accompagna: custodire e raccontare ciò che i nostri occhi hanno visto, pregare per questa terra e per la sua gente, e impegnarci a sostenerla con i mezzi che abbiamo. Perché la speranza che abbiamo incontrato non resti un bagliore passeggero, ma possa continuare a crescere, a trasformare vite e a contagiare anche chi non ha camminato con noi… Andiamo?!

 

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