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3 Maggio 2024

La pace si fonda sulla verità della persona umana

Alla Pontifica Università Lateranense la Lectio magistralis del card. Pizzaballa

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Riportiamo di seguito un estratto, tratto dall’Osservatore Romano, della lectio magistralis dal titolo “Caratteri e criteri di una pastorale della pace” tenuta giovedì 2 maggio dal card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, presso l’Istituto pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense nell’ambito del ciclo di studi in Scienze della pace e della cooperazione internazionale. Ne pubblichiamo ampi stralci.

Quanto sta avvenendo in Terra Santa è una tragedia senza precedenti. Oltre alla gravità del contesto militare e politico, sempre più deteriorato, si sta deteriorando anche il contesto religioso e sociale. Il solco di divisione tra comunità, i pochi ma importanti contesti di convivenza interreligiosa e civile si stanno poco alla volta disgregando, con un atteggiamento di sfiducia che invece cresce ogni giorno di più. Un panorama desolante. Non mancano certo elementi di speranza, tra le tante persone che ancora oggi, nonostante tutto, vogliono lavorare per la riconciliazione e la pace. Ma dobbiamo realisticamente riconoscere che si tratta di realtà di nicchia e che il quadro generale resta molto preoccupante.

Questa tragedia, oltre a legarmi ancor più al gregge di cui sono pastore, suscita in me innumerevoli riflessioni sulla pace. Si può ancora “pensare la pace” oggi, in Terra Santa? “Pace” sembra essere oggi una parola lontana, utopica e vuota di contenuto, se non oggetto di strumentalizzazione senza fine. Non di rado, gli stessi che sono a favore della pace terminano i loro discorsi dicendo che per giungervi è inevitabile la guerra.

La nostra terra è ancora sanguinante, la nostra gente in preda alla paura e all’incertezza del futuro. Molti, troppi, hanno di fronte a sé solo macerie. […]

  1. Guardare il volto di Dio

[…] La prima peculiarità della pace è che essa, prima di essere un progetto umano conforme alla volontà divina, è un dono di Dio, anzi, dice qualcosa di Dio stessoAdonài shalòm, «Il Signore è pace» (Giudici, 6, 24; cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 488). Com’è noto, l’ebraico shalòm — come del resto il suo corrispettivo arabo salàam — indica molto più di una situazione sociopolitica di assenza di guerra: esso esprime “pienezza di vita”, approccio integrale. Non è quindi solo una costruzione umana o un traguardo dell’umana convivenza, quanto piuttosto una realtà che viene da Dio e dalla relazione con lui: è il compimento delle promesse messianiche (cfr. Isaia, 2, 2-5; 11, 6-9). Gesù Cristo, il Messia è Sar shalòm, «Principe della Pace» (Isaia, 9, 5), è lui stesso «la nostra pace» (Efesini, 2, 14), l’unico che ha abbattuto la barriera tra gli uomini, il muro d’inimicizia che era frammezzo (cfr. Efesini, 2, 14-16). Da Gerusalemme è risuonato il grido del Risorto che è giunto fino agli estremi confini della terra: «Pace a voi!» (Giovanni, 20, 19). Non a caso, è questa la prima parola del Risorto agli apostoli e alle donne riuniti nel Cenacolo e questa, come uomini nuovi e risorti, deve essere anche la nostra prima e ultima parola. Non è una “pace mondana” — dice Cristo — ma la «mia pace» (Giovanni, 14, 27). La «nostra pace» ci dona quindi la “sua pace”, poiché ci dona sé stesso, morto e risorto per noi. Il cuore della pace è il mistero pasquale di Cristo. È proprio in virtù di questo mistero che la pace, che è Cristo, diviene nel contempo riconciliazione con Dio e tra gli uomini. […]

C’è un passaggio nel libro della Genesi, che mi piace sempre ricordare, e che indica chiaramente come si riconosce il volto di Dio. Mi riferisco al noto episodio di Giacobbe nella lotta con un misterioso personaggio sulle rive dello Iabbok, nel suo viaggio incontro al fratello Esaù, con il quale si sta arrivando alla resa dei conti. In quella lotta singolare, Giacobbe riconosce il volto di Dio, tanto da chiamare il luogo di quella lotta “Penuèl”, il “volto di Dio”. Da tale travagliata notte esce zoppo, ma confessando: «Ho visto Dio faccia a faccia!» (Genesi, 32, 31). Egli esce sconfitto ma vittorioso, zoppicante ma appoggiato in Dio. Solo zoppicando Giacobbe può andare incontro al fratello-nemico: Esaù lo abbraccia e i due piangono. A questo punto, Giacobbe rivolge a Esaù una delle frasi più belle della Bibbia, talvolta non adeguatamente tradotta e che perciò rendo letteralmente: «Ho visto il tuo volto come si vede il volto di Dio» (Genesi, 33, 10). Solo quando abbiamo sperimentato la nostra debolezza e, in questa, abbiamo incontrato il volto di Dio, siamo pronti ad andare incontro al fratello-nemico. Se non si va incontro all’altro zoppicando, si rischia di aprire costanti scenari di guerra, perché l’altro non è più un altro me stesso, ma un nemico, da temere o da eliminare. […]

  1. Guardare il volto dell’altro

Quanto da noi appena affermato ci conduce alla seconda caratteristica della pace: oltre a essere una realtà divina, essa è una realtà umana e sociale, un valore universale e un dovere inderogabile che chiama tutti all’appello, pena l’autodistruzione dell’uomo stesso. […] Ed ecco, quindi il secondo criterio: rimettere l’uomo al centro, tornare al volto dell’altro, alla centralità della persona umana e della sua ineguagliabile dignità. Quando il volto dell’altro si dissolve, svanisce anche il volto di Dio e quindi la vera pace. Solo nel contesto di uno sviluppo integrale dell’uomo, nel rispetto dei suoi diritti, può nascere una vera cultura della pace e il sorgere di «profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 496), di testimoni e colonne della pace. Di essi, il mondo ha quanto mai bisogno, anche a costo di essere perseguitati e tacciati come utopici e visionari. Per la pace si deve rischiare, sempre. Si deve essere disposti a perdere l’onore, a morire come Gesù. […]

Conclusione

In conclusione, posso dire che a mio avviso la pastorale della pace nella Chiesa non consiste in null’altro che essere semplicemente chiesa. Rimanere sé stessi, ancorati a ciò che ci sostiene, e viverlo, annunciarlo e testimoniarlo senza paura e ipocrisia. […] La pastorale della pace ha solo il Vangelo come riferimento. I caratteri e i criteri per costruire la pace si trovano tutti li. Da li si deve partire e li si deve tornare sempre. E il contributo che possiamo portare alla vita sociale della nostra travagliata diocesi consiste nel creare nella comunità il desiderio, la disposizione e l’impegno sincero, leale, positivo e concreto di incontro con l’altro, nel saperlo amare nonostante tutto, nell’aiutare ad interpretare il proprio dolore alla luce della fede, a sapere fare unità tra fede e vita. Partendo dall’ascolto della Parola di Dio, che è la fonte principale di ogni criterio di interpretazione della nostra realtà di vita.

 

A questo link il testo integrale: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-05/quo-099/la-pace-si-fonda-sulla-verita-della-persona-umana.html