Il Papa ha presieduto ieri, 25 novembre, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico vaticano l’Atto Commemorativo per i 40 anni del Trattato di Pace e Amicizia tra Argentina e Cile per la sovranità sulla zona australe, il cosiddetto Canale del Beagle estrema punta meridionale dell’America Latina. Un contenzioso che riguardava la sovranità di tre isole e soprattutto l’accesso agli Oceani Atlantico e Pacifico, aggravatosi pericolosamente dopo la rottura di ogni negoziazione tra i governi militari guidati allora da Pinochet in Cile e Videla in Argentina. Due popoli “fratelli” si trovarono quattro decenni fa a un passo dalla guerra, scampata fortunatamente grazie ad “una soluzione degna, ragionevole ed equanime” frutto del lavoro di mediazione spinto da Giovanni Paolo II e reso possibile dai cardinali Antonio Samorè e Agostino Casaroli. I loro nomi sono stati ricordati dal cardinale Fernando Vérgez Alzaga, presidente del Governatorato, dall’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Luis Pablo María Beltramino, e dal ministro degli Esteri cileno, Alberto van Klaveren, nei loro interventi a inizio cerimonia, durante la quale sono stati svelati due francobolli nati dalla collaborazione tra Correo argentino, Correo cileno e Poste vaticane. Alla cerimonia sono stati presenti cardinali, membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, insieme ad autorità argentine e cilene e rappresentanti dei mediatori che parteciparono all’avvenimento.
Dinanzi a loro il Papa ha rimarcato l’evidente forza della mediazione della Santa Sede e il valore del dialogo quali modelli di riferimento per questo tempo in cui vi è “l’ipocrisia di parlare di pace e giocare alla guerra”.
Grande anche la preoccupazione che il Pontefice ha espresso per gli eventi di questo tempo, per un frangente del mondo segnato da conflitti armati che “ancora non si riesce a estinguere” e che rappresentano “ferite dolorose” per la famiglia umana, per zone del mondo come Ucraina e Palestina in cui “la prepotenza dell’invasore primeggia sul dialogo”, la storia può, ancora una volta, essere maestra. La stessa apprensione che all’epoca fu anche quella di Giovanni Paolo II, che fin dai primi giorni del suo pontificato, nel 1978, si impegnò “non solo per evitare che la disputa tra Argentina e Cile degenerasse in uno sfortunato conflitto armato, ma anche per trovare il modo di risolverla definitivamente”. Furono i due governi a chiedere la mediazione del Pontefice polacco che, accompagnata da “sforzi concreti ed impegnativi” e dalla preghiera e dall’anelito di pace della gente, si concretizzò sei anni dopo: nel 1984. “Una soluzione soddisfacente, fondata sulla giustizia e sul diritto internazionale”, che escluse il ricorso alla forza, commenta Francesco.
A conclusione del suo discorso il Papa ha detto di unirsi ai sentimenti dei vescovi di Argentina e Cile che, alcune settimane fa, in occasione del 40° anniversario, hanno firmato una nuova dichiarazione per ricordare come il Trattato abbia prevenuto “la guerra tra popoli fratelli”. “Grazie a Dio per averci protetto e salvato dalla guerra!”, ha esclamato Francesco.
Nel suo breve saluto introduttivo, invece, il cardinale Vérgez, oltre a lodare l’“indimenticabile” opera del cardinale Samorè, ha ricordato anche la figura del cardinale Eduardo Pironio, oggi beato, che accompagnó Giovanni Paolo II nel viaggio apostolico in Uruguay, Cile e Argentina e “fu testimone, in varie occasioni, di quanta energia spese il Pontefice per raggiungere la pace, trattando per evitare la perdita di vite umane e la sofferenza della popolazione”.
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