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Ricordiamo Sac. MATRICARDI Carlo

Qualifica religiosa: Sacerdote
Data del decesso: 9 Maggio 2008
Luogo del decesso: Sanremo (Italia)
Luogo di sepoltura: Mogliano (Macerata)

Sac. MATRICARDI Carlo, da Mogliano (Macerata), morto a Sanremo (Italia) nel 2008, a 84 anni di età, 67 di Professione e 57 di sacerdozio. Apparteneva alla Provincia di “San Benedetto” (Genova - Italia).


Da "Atti e Comunicazioni della Curia Generale", n. 226, Maggio - Agosto 2008

Sac. Carlo MATRICARDI 
Addormentatosi nel Signore il 9 maggio 2008 a Villa Santa Clotilde di Sanremo (Imperia). Aveva 84 anni di età, 67 di Professione religiosa e 57 di sacerdozio.

Era il sesto di otto figli di Davide e Ferretti Pasqualina. Nacque a Mogliano (Macerata) il 28 agosto 1923; fu battezzato il 3 settembre successivo e cresimato il 29 maggio '32 da Mons. Carlo Castelli, vescovo di Fermo.

Dopo le scuole elementari al paese, manifestando segni e desiderio di votarsi a Dio, per interessamento di uno zio sacerdote, il 4 novembre '35 fu accolto nell'istituto S. Cuore a San Severino Marche, completando ivi le prime due classi medie. Dopo la vestizione dell'abito a Tortona il 28 agosto '37, completò il ginnasio a Voghera e Montebello (Pavia), passando quindi a Villa Moffa di Bra (Cuneo) per il noviziato (1939-40), terminandolo il 15 agosto 1940 con i primi voti religiosi nelle mani di Don Carlo Sterpi.

A Tortona fece la filosofia, seguita dal liceo a Bra ('40-'43), ottenendo la maturità classica. Fece il tirocinio come assistente e insegnante a Velletri e Roma-Casa dell'Orfano (44-46) oltre a San Severino Marche, dal 47 al 49. Il corso teologico lo svolse a Tortona e San Severino Marche ('46-'50), integrato dalla Professione perpetua a Tortona (29 giugno 1947) e dal Presbiterato ricevuto il 29 giugno 1950 da Mons. Melchiori, nel Santuario Madonna della Guardia in Tortona.

Iniziò l'apostolato formativo tra i probandi di Finale Emilia (Modena), vicedirettore, assistente e insegnante fino al '58, prolungando le stesse mansioni altri due anni nel seminario minore di San Severino Marche (Macerata). Dal '60 al '69 ebbe la direzione dell'istituto San Vittore di Borgonovo Valtidone (Piacenza), curando la formazione umana e professionale dei ragazzi poveri, con attenzione alle vocazioni ecclesiali da coltivare e valorizzare.

Nel '71 ebbe l'incarico d'insegnante al liceo San Tommaso di Bra (Cuneo), ma dopo solo un anno gli fu affidata la direzione del "Paverano" di Genova, dal '72 al '73 e dal '79 al '85. Nel 1973, la stima dei superiori e confratelli gli affidarono il governo e l'animazione della Provincia religiosa "San Benedetto" per nove anni ('73-'79 e '85-'87), profondendovi le sue capacità di dialogo e spirito di famiglia orionino.

Nel 1988, mentre era insegnante nell'istituto di Borgonovo Valtidone, ebbe l'incarico e la direzione del Convegno Internazionale su Don Orione nel 50° della morte, trasferendosi a Sanremo come direttore della comunità e del Piccolo Cottolengo, fino al 1998. Dopo quattro anni come vicario della comunità di Genova Camaldoli, nel 2002 fu nuovamente destinato a Sanremo, vicario e incaricato di Villa Santa Clotilde, custode della cameretta dove morì Don Orione, del quale diffuse l'amore, la conoscenza e la devozione. Scrisse un pregevole opuscolo sulla storia della casa e degli ultimi giorni terreni di San Luigi Orione. Qui lo colse la chiamata del Signore che attendeva vigilante e sereno "d'in piedi" come il Padre Fondatore.

Don Carlo è ricordato come un confratello buono, intelligente nel bene, gentile e premuroso, contento e convinto della vocazione scelta, del carisma ricevuto e da trasmettere con la coerenza di vita e la carità delle opere. Visse pienamente il proposito espresso nella sua Prima professione: "Essere un vero figlio della Divina Provvidenza. Figlio degno, amante di Dio, della SS.ma Vergine, del Papa e delle anime.".

La liturgia esequiale si è celebrata il 12 maggio a Sanremo, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli; il giorno successivo ebbe l'ultimo saluto a Mogliano, paese natale, ove riposa accanto ai genitori.


Don Carlo Matricardi ricorda Don Orione in occasione della canonizzazione

IL MIO DON ORIONE

"Il mio Don Orione". Diceva così qualche decennio fa un orionino "doc" don Albino Cesaro, che conosceva bene il Fondatore per studi fatti e per consuetudine di vita con lui; e lo andava divulgando con agili volumetti. Forse quell'autoattribuzione non era del tutto impropria, se si considera che l'autore si atteneva a una sua angolatura personale. Per quanto mi riguarda, non posso proprio attribuirmi qualcosa di analogo. Nel momento in cui rispondo a ripetute sollecitazioni di buttare giù qualcosa di personale in questo maggio straordinario per la Congregazione, devo premettere che le mie piccole memorie hanno il peso che ognuno vuol dare a loro.

Il fatto è che per me esse, un certo peso lo hanno avuto, forse perché quello che conta è anche la risposta. Una risposta che lì per lì neanche percepivo dentro di me, ma c'era. Me ne sono accorto dopo, e me ne accorgo adesso. Da dove viene quel po' di attaccamento al Fondatore che mi emerge dentro, se non dal segno che mi porto da allora?

La mia memoria non è tenace e le poche cose che ancora conserva, somigliano più che altro, ai relitti di un naufragio, ma non si tratta di relitti, tanto meno di naufragio.

Don Orione lo vedevamo spesso, ma non certo tutti i giorni a Voghera (1938) e a Montebello (1939). Eppure sembrava che ci fosse sempre; la sua presenza era sentita in mezzo a noi: presenza attiva, gioiosa, qualche volta anche carica di nembi, eppure foriera di cose importanti.

È noto come andavano le cose: andavano come lui aveva imparato a meraviglia da don Bosco. Compariva a un certo momento da un lato del cortile formicolante di piccole tonache nere e tutti di corsa ci radunavamo rapidamente intorno a lui. Naturalmente c'ero anch'io (chiedo venia se devo esprimermi in prima persona). Ma ecco la mia esperienza.

Non ero mai tra i più vicini a lui; non mi ricordo di aver preso la parola o che lui si sia rivolto personalmente a me. Mi bastava essere lì e godere della gioia di tutti. Non sentivo il bisogno di uscire dal mio anonimato, ero certo che lui mi notava e mi bastava. Le cose che diceva erano tutte belle per me, ed erano interessanti: cose che creavano sogni, non banali o scontate, quasi magiche, sempre sorprendenti.

Il mondo intero, la Chiesa, la Congregazione erano dentro le sue parole. La scuola, lo studio, la santità, la cultura; ma anche il sacrificio, il lavoro, la mortificazione acquistavano una dimensione affascinante, ma sempre alla nostra portata.

Quanti incontri, quanti benefattori e amici, quanti progetti: come un mago, cavava continuamente sorprese dal suo cilindro. E tutto andava dentro, diritto diritto, a costituire le fondamenta di un cuore adolescente. Mi pareva tutto alto e tutto stupefacente quello che diceva, ma nello stesso tempo tutto possibile, l'eroismo compreso.

Se un particolare posso evocare in questo panorama sempre in movimento, è un certo giorno che non so precisare, ma deve essere intorno alla Festa della Guardia del 1937-38. Il momento è noto, perché è fissato in una foto felice scattata da qualcuno nell'istante giusto. Si era sui gradoni di accesso al Santuario. C'era molta gente attorno a lui; forse erano pellegrini genovesi. Lui deve essere salito su una sedia per farsi sentire, come un tribuno. Non posso ricordare quello che diceva, ma posso arguire che parlasse dell'Italia e della Patria, un tema tutt'altro che insolito in quel momento. Fatto sta che c'erano delle bandiere tricolori. Una gli era a portata di mano, ed ecco che lui ne afferra un lembo e la bacia con un gesto solenne e leggermente scenografico. Non sto a dire il subbuglio che provai dentro di me, ma posso dire che quel gesto per me è stato per sempre l'immagine simbolo del Fondatore. Posso dire che lì vedo stampata l'immagine del "mio Don Orione". Simi piace vedermelo davanti così: un santo ardente e magnanimo nelle sue manifestazioni e nei suoi sentimenti.

Un certo numero di anni fa, un giorno fui redarguito da quel sant'uomo di Dio don Luigi Orlandi. Erano gli ultimi anni della sua vita e si trovava a Camaldoli, dove poi mori. Ero andato a visitarlo, e a un certo punto, un po' per fargli piacere e un po' per scusare me stesso, me ne uscii con un discorso di questo tipo. "Caro don Luigi, confesso di non conoscere molto la vita di Don Orione, eppure credo di conoscere Don Orione". Non l'avessi mai detto. Mi troncò la parola: "Tu non sai niente; se non conosci la storia, non sai niente". Aveva ragione e non replicai.      Eppure, mi sembra di poter rivendicare un po' di verità anche per me. Oggi come oggi, a forza di leggere e rileggere, qualcosa conosco; ma allora conoscevo davvero poco. Ma avevo la convinzione, e ce l'ho ancora, che Don Orione, come del resto gli altri santi, non si possono ridurre alla episodica.  Don Orione è di più, molto di più. Quando una figura ti ha conquistato col suo essere, tu questa figura puoi dire di conoscerla, perché conosci le linee della sua personalità. Un episodio è come una nota in un concerto, ma il concerto è un'altra cosa. Un uomo non si riduce alla cronaca della sua vita. Anche per un Santo è così.

E voglio fare un augurio ai miei fratelli orionini ed anche agli amici laici. Non dico che occorre mitizzare: me ne guardo bene. Ma senza il calore di un approccio che ti conquista, non si va molto lontano.

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