Data del decesso: 13 Giugno 1974
Luogo del decesso: Warszawa (Polonia)
Luogo di sepoltura:
Sac. TOSIK Henryk, da Sromutka (Polonia), morto a Warszawa (Polonia) nel 1974, a 44 anni di età, 22 di Professione e 16 di Sacerdozio.
Da" “Atti e Comunicazioni della Curia Gneralizia”, Luglio - Settembre 1974
Sac. ENRICO TOSIK
da Sromutka [Polonia), morto all'Ospedale Gesù Bambino di Varsavia il 13 giugno 1974, a 42 anni di età, 23 di professione e 17 di sacerdozio.
Accolto nella Piccola Opera il 1° settembre 1948, a Zdunska Wola, vi compì gli studi ginnasiali fece il noviziato (1950-51) ed emise la professione perpetua (1954).
Dopo gli studi di filosofia e teologia, ricevette la sacra ordinazione il 30 giugno 1957 e provò il conforto di essere assistito in tale solenne circostanza dal Direttore Generale Don Carlo Pensa. In seguito conseguì a Varsavia la licenza di diritto canonico presso la Accademia di Teologia Cattolica.
Per un decennio (1961-1971) direttore a Varsavia, si recò ogni settimana a Zdunska Wola ad insegnare in quel nostro Seminario Maggiore. In seguito, per le non comuni attitudini amministrative, fu nominato Consigliere ed Economo provinciale, ma non cessò di andare periodicamente a consolare nello spirito gli ammalati di un ospedale della città, ove si meritò la benevolenza di tutti degenti e personale per il suo atteggiamento sempre sereno e gioviale.
Soffrì per vari anni, senza lamentarsi mai forti dolori allo stomaco, che alla fine lo costrinsero a subire un grave intervento chirurgico nell'estate del 1973.
Invitato dal Direttore Generale Don Zambarbieri a trascorrere in Italia la convalescenza, fu presso la Curia Generalizia di Roma e poi Sanremo, Diano Marina e Genova. Ricoverato presso l'Ospedale Galliera, venne dichiarato incurabile per grave forma cancerogena.
Prima di ritornare in Polonia ebbe il conforto di visitare il Santuario della Madonna della Guardia in Tortona e di pregare sulla tomba del Fondatore Don Orione. A Varsavia subì « in extremis » altri due interventi chirurgici
Ritornò a Dio nella solennità del Corpus Domini, confortato dalla carità e dalle preghiere dei Confratelli di Varsavia. Soffrì molto, edificando coloro che lo avvicinavano per la esimia pazienza e uniformità alla volontà del Signore. Offrì le sue sofferenze per la Congregazione, per il Papa e la Chiesa, e per quanti gli fecero del bene.
Don Giuseppe Zambarbieri, in “Atti e Comunicazioni della Curia Gneralizia”, Luglio - Settembre 1974, p. 153-155:
DON TOSIK, UNO DEI PIÙ’ BRAVI SACERDOTI POLACCHI...
Fin dalla prima visita in -Polonia Don Enrico Tosik m'aveva colpito per la sua fervida intelligenza, la sua-rettitudine, il suo stile di religioso pio, serio, il suo affetto per Don Orione e la Congregazione. Era direttore della Casa di Varsavia, Segretario ed Economo provinciale, professore al nostro seminario di Zduńska Wola, e cappellano in un ospedale. Esile, di un pallore e di una magrezza impressionanti. Stupiva come — con un fisico assai fragile — riuscisse a far tanto lavoro e tutto così bene, guadagnandosi, in casa e fuori, una stima incondizionata. Nel settembre dell’anno scorso non lo trovai a Varsavia: operato al principio dell’estate, si trovava in convalescenza a Polonica presso una casa di riposo, vicino alla Slesia. Si trattava di un viaggio piuttosto lungo. Ma non potevo non andarlo a visitare. Lo vidi, così, ancora più pallido, più magro, più sofferente, ma sempre sereno, con gli occhi diventati anche più eloquenti e più buoni. È stato un incontro che ha fatto del bene soprattutto a me. Sapeva, e lo disse chiaramente, che si trattava di tumore. Fu allora, che, pensando al rigore dell’inverno polacco, gli ho proposto di passare i mesi freddi in Italia, in riviera. Sono ancora io a ringraziarlo che abbia accettato, perché non avrei altrimenti avuto modo di conoscerlo a fondo e di santamente amarlo, come è avvenuto, invece, per gli incontri frequenti qui da noi, quando è venuto poco prima di Natale. Non potrò dimenticare il lungo viaggio da Roma a Sanremo, la notte sul Capodanno. Era l’ultima possibilità di utilizzare una tessera ferroviaria, che ci veniva concessa da molti anni e valeva anche per una persona in accompagnamento. (L’attuale ministro socialista non l'ha più rinnovata, ma sia benedetto il Signore anche di questo). Avevamo uno scompartimento tutto per noi: lo sapevo, che ben pochi viaggiavano l’ultima sera dell'anno e così siamo rimasti sempre soli, fino a Sanremo. Sono state ore di preghiera, di confidenze fraterne. Quando abbiamo celebrata la Messa di Capodanno a Villa S. Clotilde, i fedeli si accorsero che il lettore aveva una pronuncia straniera ma Don Enrico, bravo e capace com'era, pur trovandosi solo da poche settimane in Italia, lesse benissimo la prima, la seconda lettura, e anche il Vangelo. Nell'omelia, non potei nascondere la mia ammirazione, lo presentai, chiesi preghiere per lui. Dopo la Messa sostammo a lungo, in silenzio, nella cameretta di Don Orione. Avevamo tante cose da dire al nostro Padre. E così, poi, il 12 marzo, quando ci si Incontrò ancora a Sanremo, nell'anniversario della morte del fondatore. Era stato molto bene fino a qualche giorno prima, felice del clima e della comunità di Diano Marina. Fu verso il 12 marzo che accusò i primi dolori. Si decise per un controllo a Paverano e fu necessario il ricovero al l'ospedale Galliera. Il male riprendeva purtroppo, e senza alcuna speranza. Don Enrico intuì chiaramente, anche se i medici cercavano di nascondere. Fu lo stesso primario ad avvertirmi: «È appena in grado di fare il viaggio, e non può aspettare, se pensa di tornare in Polonia... Può essere che sia il suo più grande desiderio quello di andare a morire a casa... ». Era difatti, l’unica sua aspirazione, ma quasi non osava chiedere. Quando gli ho detto che provvedevamo subito per il viaggio in aereo, ho visto II suo volto illuminarsi. Esprimeva così la sua gratitudine, manifestata già con sentimenti squisiti ai sanitari, alle suore, agli infermieri, agli stessi compagni di camera per ogni piccolo servizio. Quando lasciò l’ospedale, in quella cameretta piangevano tutti, tanto sera fatto voler bene. L’ultimo abbraccio fu 'all’aeroporto di Linate. Si attendeva la chiamata del volo per Varsavia, e ci venne incontro il Card. Wojtyła: era II mercoledì santo e, avviandosi al suo calvario, Don Enrico meritava il privilegio di fare il suo viaggio con l’arcivescovo di Cracovia, uno dei figli più degni della Polonia e della Chiesa. Lo rivedo, mentre, prima di scomparire con Don Pilatowicz che lo accompagnava, si voltò e salutò ancora a lungo con la mano...
...FORTE E SERENO SUL SUO CALVARIO A 42 ANNI
Arrivato a Varsavia fu subito ricoverato all'ospedale Gesù Bambino, dove tentarono altri interventi. Furono due mesi di dolori lancinanti. In croce, nel senso più vero della parola, attese il Signore soffrendo terribilmente — lo confessava — ma sempre accettando, con fede e fortezza eroica, la volontà del Signore, offrendo i suoi dolori per la Chiesa, il Papa, la Polonia, la Congregazione, le vocazioni. Da Don Eugenio Misiowiec, che è stato particolarmente vicino a Don Enrico, ho saputo commoventi particolari di quelle lunghe, penosissime settimane d’attesa. Non posso riferirle perchè mi sono già dilungato troppo, ma come sarei contento se — per il bene che ne può venire a tutta la nostra famiglia — Don Eugenio stendesse quelle memorie e le partecipasse non soltanto ai confratelli della Polonia, ma a tutta la Congregazione.
Fino a Pasqua aveva potuto celebrare nella chiesa dell’ospedale, tenuta dai nostri. Il lunedì si aggravò ancor più e Don Batory gli amministrò l’Olio degli infermi. Ormai non c’era più possibilità di lasciare il letto. Chiese di poter celebrare nella cameretta dell’ospedale. Pur sfinito ed esausto, disse ancora la S. Messa il giorno della SS. Trinità, dal letto, soltanto con la stola. In croce. Dopo la Messa entrò in coma e rimase in agonia per tre giorni. Morì la mattina del Corpus Domini. Leggerete, tra ì Documenti, la testimonianza della Superiora Generale Madre Maria Caterina che potè vederlo poche ore prima del piissimo transito.
Da “Atti e Comunicazioni della Curia Gneralizia”, Luglio - Settembre 1974, p.205:
MADRE M. CATERINA RICORDA DON TOSIK
" Da Don Zambarbieri sapevo che in Polonia c'era un sacerdote molto ammalato. Ho chiesto di poterlo vedere e mi accompagnò proprio mons. Dabrowski. Che impressione mi fece vederlo nel suo letto già in coma: era uno scheletro vivente. Il Vescovo l’ha chiamato, l’ha benedetto, ma lui non diede segno di conoscenza. Io mi limitai a pregare e a guardarlo. Poco dopo Mons. Dabrowski, accompagnato dall'ex Direttore provinciale Don Batory, uscirono dalla stanza e mi lasciarono sola con l’infermo.
Lo guardai a lungo in preghiera gli baciai la mano e poi ho azzardato dirgli (con la speranza che sentisse) che venivo da Roma e gli portavo il saluto e la benedizione del Padre Generale Don Zambarbieri. Appena pronunciate queste parole, quale non fu la mia meraviglia: lo vidi aprire due grandi occhi luminosi e, sospirando come di gioia, fece: ’’ Oh!... oh!... " poi niente più. Ma ho capito che aveva compreso tutto. Accanto a me c’era l’infermiera che aveva udito (comprendeva l’italiano) e mi disse che sovente nominava Don Zambarbieri (...). Mi disse anche che, due giorni prima — Festa della SS.ma Trinità — aveva potuto concelebrare dal letto la sua ultima Santa Messa. Spirava la mattina del Corpus Domini mentre, nella principale piazza di Varsavia, si svolgeva la solenne processione eucaristica.
Vedere, o meglio, contemplare questo giovane sacerdote moribondo (aveva 42 anni), pensavo a tutti i sacerdoti del mondo, in modo particolare, ai sacerdoti di Don Orione e — in modo particolarissimo — a mio fratello sacerdote... pensavo alle parole di Gesù " siate luce del mondo e sale della terra ” e dicevo tra me: ” Signore accogli quest'anima sacerdotale che, forse si sarà offerta vittima per i suoi fratelli, ma salva i sacerdoti, santifica i sacerdoti, fa che siano davvero, sempre e ovunque, sale e luce.
Se mons. Dabrowski non mi avesse fatto ripetute insistenze, non sarei più uscita da quella cameretta dove un ” alter Christus ” consumava la sua vita per il Padre e per i fratelli... ”, (da « In Famiglia », settembre 1974 - pag. 8)
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