Data del decesso: 30 Novembre 2000
Luogo del decesso: Bergamo
Luogo di sepoltura:
Sac. RIZZI Gino, da Bozzana (Trento), morto a Bergamo nel 2000, a 84 anni di età, 67 di Professione e 58 di Sacerdozio. Così, silenziosamente, com’era sempre vissuto, il carissimo Confratello se n’è tornato alla casa paterna, quella vera, ultima. Lo ha rilevato il Direttore provinciale Don Ondei, nel porgergli l’ultimo saluto il 2 dicembre, presenti una trentina di confratelli concelebranti e tanti parenti ed amici, nella Cappella del Centro Don Orione di Bergamo. Qui Don Gino era ospite dal 1994, quando una paresi aveva interrotto il suo lavoro ultra cinquantennale nella Casa Madre dell’Opera, in Tortona, dove, esattamente 70 anni fa, era stato accolto, giovinetto quattordicenne, da Don Orione e Don Sterpi, il 2 dicembre 1930, per legarsi per sempre all’umile famiglia religiosa. Entrava in quella vetusta casa, ove tutto spirava povertà e sacrificio, non rendendosi allora conto, che vi sarebbe rimasto l’intera vita, costituendo quasi un binomio con la Casa madre della Congregazione. Ci ha lasciati per entrare nell’amplesso di Dio: la lunga malattia di questi ultimi anni, ha coronato una vita tutta spesa nel sacrificio fino a divenire olocausto. Chi potrà mai dimenticare quell’esile figura di sacerdote sempre con il sorriso sulle labbra, sempre premuroso nell’accogliere tutti quelli che ricorrevano a lui? Quante pratiche, spesso laboriose, ha sbrigato! Quanti problemi, mediante la sua paziente diligenza, hanno trovato una soluzione soddisfacente! Un sorriso, una parola affettuosa, una tazzina di caffè da lui apprestata, caratterizzavano gl’incontri con Don Gino. Di poca presenza, si è però rivelato tutt’altro che scarsamente dotato. Ricordiamo in proposito i suoi interventi come intervistato nel recente film di Ermanno Olmi. A tutti fece un’ottima impressione. Il suo filiale interessamento presso la nostra Postulazione generale, e il suo contributo durante la lunga fatica per preparare la beatificazione del Fondatore, come del resto per la ricerca e impostazione delle cause degli altri nostri servi di Dio. E’ stato una fedele e silenziosa testimonianza di uno dei capisaldi del carisma orionino: l’umile semplicità, che si traduce in un continuo servizio per gli altri. Conosciutissimo e altrettanto apprezzato nell’ambito dei confratelli, poco per volta si cattivò una sempre più ampia simpatia fra i laici, nell’entourage degli Amici tortonesi dell’Opera, e delle località viciniori. Si vedeva tutte le sere, con qualunque tempo, muovere i passi verso Castelnuovo Scrivia per portare un sorriso ai bambini e agli orfani, e la S. Messa giornaliera alle buone Suore. Tanti, - e la cosa divenne abituale – si onoravano di offrirgli un passaggio in auto. Più di un confratello vedeva in lui riflessa la personalità di Don Sterpi: la riservatezza, il silenzioso impegno nel lavoro, la cordialità col prossimo, l’amore ai membri dell’Opera, la diligenza nel conservare e custodire quanto si riferisse alla Congregazione. Il suo “iter formativo” è stato normale e impegnato, con particolare attenzione a migliorare un suo handicap, nel timore fosse d’ostacolo al suo ministero sacerdotale: noviziato a Villa Moffa (1932-33), liceo al Paterno (1933-35) e tirocinio come segretario al “Dante” di Tortona (1935-38), teologia nel seminario vescovile di Tortona (1938-42). Professa la prima volta il 15-8-1933, e in perpetuo lo stesso giorno nel 1939. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta il 4 aprile 1942, Don Rizzi fu distributore discreto e umile, ma assiduo dei suoi doni, specialmente verso i piccoli e i semplici, assistiti dalle Suore dell’Opera a Villa Charitas, a Villa Pedevilla in Tortona e a Castenuovo Scrivia. Coi bambini egli si trovava a pieno suo agio, candido come loro, felice di esprimersi e di effondersi in libertà. Per chi ammira Don Orione, egli ha rappresentato l’esibizione di una delle tante dimensioni (e certo la più importante) di Don Orione: la ricerca di Dio solo, l’attaccamento agli unici autentici valori: quelli della fede, la totale dimenticanza di sé per rivelare ai fratelli l’infinita grandezza divina, perseguiti per tutta la vita “in silenzio et in spe”, amorosamente.