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6 Aprile 2024

Le opere sociali orionine nelle Filippine (VIDEO)

Don Oreste Ferrari, già vicario generale della Congregazione e oggi tornato nel Paese asiatico, ci parla della missione orionina e del suo sviluppo.

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Nel 1991 due sacerdoti orionini, don Luigi Piccoli e don Oreste Ferrari, arrivarono per la prima volta nelle Filippine, con l’idea di avviare una nuova missione per la Congregazione. Nel 1993 don Ferrari andò via dalle Filippine e al suo posto arrivò don Angelo Falardi, precedentemente a Boston. Soltanto un anno dopo, purtroppo, don Piccoli morì dopo aver contratto la dengue, e don Falardi portò avanti il lavoro avviato fino al 1997, quando anche lui sfortunatamente morì d’infarto.

La missione nelle Filippine non ha avuto un inizio facile, ma oggi è ancora attiva con diverse opere in tre principali località. Nel 2022 è tornato missionario lì anche don Oreste Ferrari, dopo essere stato per sei anni vicario generale della Congregazione. È lui a raccontare come vanno le cose nel Paese: “Le Filippine sono un paese composto da circa settemila isole, di cui due sono le più grandi, una nord e una  a sud. Noi ci troviamo in quella a nord, Luzon, dove ha luogo anche la capitale, Manila. Le nostre attività sono a Payatas, poco fuori Manila, a Montalban, oggi nota come Rodriguez, che è da 10 km da Payatas ma già in un’altra regione, e poi a Lucena, 150 km a sud della Capitale”.

Tra la prima visita di don Ferrari nelle Filippine e il suo recente ritorno sono tante le cose che sono cambiate nel Paese: “Quando arrivammo nel 1991 qui non c'era niente. Ci fu affidata una zona in cui regnava l'abusivismo e bisognava creare tutto da zero. Il governo se ne lavava le mani, non c'era asfalto, corrente, acqua e tutti i beni primari necessari. Ci hanno detto che qualunque cosa avessimo avuto in testa di fare, sarebbe stato tutto a spese nostre. Quindi noi ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato da zero: avevamo un generatore che accendevamo la sera, così potevamo dire Messa e poi subito dopo accendere la televisione per fare comunità e tutte le persone rimanevano lì per vederla insieme. Per loro era una novità. Nel frattempo con una pompa prendevamo dell'acqua da un pozzo e riempivano contenitori e cisterne così da poterle distribuire alla popolazione. Direi quindi che la differenza tra la prima volta che sono stato qui trent'anni fa e adesso è abissale. La civiltà si è evoluta moltissimo e a Manila ormai si può trovare tutto quello che c’è nelle principali capitali europee. Certo con in più tantissimo traffico e molte infrastrutture in costruzione. La ricchezza è quindi cresciuta, ma è cresciuto anche il divario tra ricchi e poveri, poiché i poveri sono rimasti tali, anzi lo sono ancora di più. La nostra parrocchia di Payatas è, ad esempio, in una zona molto povera e quindi questo si nota molto”.

In questo contesto, come detto, l’Opera Don Orione porta avanti tanti impegni: “Molte delle opere che facciamo qui – spiega don Ferrari – sono di carattere sociale. Ad esempio, a Lucena il Vescovo ci ha affidato tre cappelle che non sono parrocchie ma ci hanno dato modo di entrare nella zona dove abbiamo messo su un piccolo complesso di servizi post-scolastici, come il doposcuola o corsi extra di matematica, inglese o computer. Poi comunque aiutiamo i bambini e le famiglie in tanti modi: la scuola di per sé nelle Filippine è gratis, ma bisogna pagare tutto il resto come i trasporti, i quaderni e i libri. Soltanto per gli ultimi due anni chi vuole proseguire a studiare deve pagare e noi cerchiamo anche di mantenere negli studi chi vuole. Abbiamo già circa quindici ragazzi che abbiamo seguito dalla scuola elementare fino alla laurea e che ora lavorano. In più offriamo a tutti gli studenti anche un pasto giornaliero, di solito a pranzo, in modo tale da garantire a tutti del cibo e aiutare anche le famiglie che in questo modo risparmiano. Questo di fa a Lucena, ma si fa anche a Payatas, dove ogni giorno garantiamo 250 pasti giornalieri per cinque giorni a settimana. Lì poi dietro la parrocchia è nata anche una clinica, intitolata a Don Angelo Falardi, che inizialmente aiutava le persone che lavorando nella discarica di Manila avevano contratto la tubercolosi. Oggi fortunatamente questa malattia non è più endemica, anzi è quasi debellata, ma la clinica continua a funzionare, con i finanziamenti anche da parte della CEI, sono stati acquistati nuovi macchinari e tante persone si recano lì per visite e analisi. Come opere fisiche, come forse siamo soliti intenderle, abbiamo invece soltanto il Cottolengo a Montalban. Lì accogliamo tanti ragazzi con diverse criticità e disabilità e ci sono oggi cure specifiche per molte malattie. Accogliamo tanti ragazzi che a causa dei loro problemi vengono abbandonati, molti sono stati lasciati ai nostri cancelli, altri arrivavano dai servizi sociali. Di molti non si sa neanche chi sono i genitori, infatti noi li portavamo a registrare all’anagrafe o oggi circa 35 ragazzi fanno di cognome Orione, perché abbiamo scelto di dare questo a ognuno di loro. Alcuni sono con noi da più di venti anni e lo rimarranno per tutta la vita, e questo dimostra l'importanza del nostro lavoro”.

Nelle Filippine stanno nascendo anche diverse vocazione, anche se da questo punto di vista il percorso non è stato sempre facile. “Per tanti anni – ricorda don Ferrari – c’è stato un unico sacerdote filippino che è stato ordinato, padre Castillo, oggi superiore regionale. Poi ne è stato ordinato uno quattro anni fa, mentre invece negli ultimi due anni ne abbiamo già ordinati cinque e ne abbiamo altri sei o sette che nei prossimi due anni verranno ordinati. Questa è una buona speranza per noi”. Lo sguardo della Congregazione, però, si sta allargando anche oltre le Filippine: “Lo scorso anno è iniziata una campagna vocazionale a Timor Est, un piccolo paese cattolico, ex colonia portoghese, che 30 anni fa è uscito dal dominio del Portogallo ed è passato sotto quello dell’Indonesia, che però è a maggioranza musulmana. Da dieci anni ha raggiunto l'indipendenza e adesso è libero, ma molto povero. Ci sono però tante vocazioni. Un nostro sacerdote che è stato lì quindici giorni, ha individuato quattro persone che volevano provare questo percorso di fede e li ha portati qui. Potrebbe però questa essere anche un’occasione per andare noi lì e iniziare un nuovo percorso”.