Non si può fare del bene stando col muso, con la malinconia, con la tetraggine.
Venerdì, 22 Settembre 2023
26 Dicembre 2008
DON ORIONE: Il suo presepio vivente

Il sogno di un bimbo diventato realtà


Ancora piccino Luigi Orione faceva il suo Presepio; la buona Mamma Carolina, nonostante la grande povertà, aveva saputo trovare le poche monete necessarie per le modeste e indispensabili figurine. Ogni anno, il piccolo Orione rifaceva il Presepio, ornandolo sempre più e prima di tutto con le sue preghiere e i fioretti. Tutto il vicinato andava a vederlo, ammirato della ammirazione semplice di quei tempi.
Quando egli lasciò il paese per andare a studiare, la Mamma alloggò gelosamente le statuine sussurrando in dialetto uno dei suoi proverbi familiari: “Chi leuga, teuva (chi ripone, trova)”.
Fin dai tempi lontani degli inizi del suo Istituto, anzi fin dal primo Oratorio festivo per i ragazzi di Tortona aperto nel 1892 nel giardino dell’episcopio, Don Orione volle un bel Presepio.
Nel 1923 i suoi novizi, con il loro maestro Don Giulio Cremaschi, realizzarono sulla collina di Villa Moffa di Bra una edizione del Presepio Vivente. Don Orione ebbe per tutti parole di lode vivissima perché idea analoga egli conservava in cuore da molto tempo: ma intendeva fare le cose in grande, con molti personaggi.
Gliene venne data la possibilità nell’anno 1930. Dal 1930 al 1934 i maggiori quotidiani nazionali fecero largo posto nella loro cronaca ai Presepi Viventi di Don Orione (da un Appunto di Don G. Venturelli).

La tradizione dei presepi viventi nella Famiglia Orionina continua finora. Il Suepriore generale che si trova attualmente a Buenos Aires ci manda delle foto del presepio vi vente di questo anno (vedi accanto).

Un giornalista ignoto e incantato era presente a Tortona, il 26 dicembre 1932, quando Don Orione guidò la rappresentazione del Presepio Vivente. Ne scrisse un articolo che apparve sul “Corriere della Sera” del 27 Dicembre con il titolo “Pittoresche tradizioni popolari, il Presepio Vivente in Tortona”.



“E’ mancata una cosa, soltanto una piccola cosa, e il Natale di quest’ anno non è stato per noi quello che avrebbe potuto essere, cioè il più grazioso Natale della nostra vita. Ma, come mai non abbiamo pensato a provvederci di quella piccola cosa?
Perché, poveri noi, essa non era assolutamente rimediabile, e non era neppure piccola, sebbene ci sia piaciuto chiamarla così, per avere l’aria di non tenerla in gran conto. Si trattava di un contrattempo maligno, d’una discordanza tra due date, e precisamente tra la data della nostra nascita e quella di questo Natale. Insomma, avremmo dovuto avere solamente sei o sette anni, o tutt’ al più dieci; e ne avevamo invece, alcuni di più.
Ora, è certo assai poco ciò che noi abbiamo veduto, a confronto di ciò che hanno veduto i bambini che oggi affollavano le vie di Tortona. Noi diciamo: a Tortona da oggi c’è un Presepio Vivente. Ed essi diranno: a Tortona c’è la Madonna che sprimaccia la paglia sulla quale dorme Gesù e c’è San Giuseppe che sorride contemplando il sonno del Divino Infante. Dunque è spiegabile e perdonabile la nostra invidia per loro e il nostro sterile desiderio di rifarci un pochino simili a loro. Noi non abbiamo veduto niente di così bello, né mai lo vedremo.
Comunque è stato fecondo e piacevole anche per gli occhi non innocenti, lo spettacolo che oggi Tortona ha offerto allestendo un Presepio Vivente, secondo le tradizioni del nostro popolo il quale, se le nobili tradizioni pesassero, dovrebbe camminare curvo, tante ne porta con sé, procedendo sulla strada che arriva dal paese del passato, per esso molto lontano, e va al paese dell’ avvenire, per esso molto vicino e luminoso.

UN PRESEPIO VIVENTE
Che cosa si può immaginare di più intonato alla natalizia festività? Le figure dipinte sui quadri, per poco che siano belle, hanno sempre una bellezza profana, che turba e induce a pensieri elaborati. Le statuine di legno o di gesso, specie quando non tentano neppure d’essere belle, hanno sempre nel proprio aspetto un che di tormentato, per cui possono tenere compagnia alle orchidee, ai manichini e ai feticci, nei salotti dei poeti decadenti. Ma le persone vive, uomini, donne e bambini, quando non siano preoccupate dal desiderio di portare la loro finzione ad una potenza d’arte, quando recitino la loro parte alla buona, con tutta la timidezza che può nascere dal cuore di una donnetta la quale, dinnanzi al parentado, agli amici, ai concittadini, debba essere la Madonna e comportarsi come la Madonna a parer suo si comporterebbe (e tanto valga per il brav’uomo che debba essere San Giuseppe) le persone vive dico, quando rispondano a queste esigenze, sono le sole che possano darci un Presepio degno di rievocare la Capanna di Betlemme e la più bella visione del mondo.
Nel Presepio che Tortona ci ha dato oggi i personaggi, pur essendo vivi, non sono né uomini, né donne, né bambini, ma sono chierici, giovanissimi chierici dell’Istituto che c’è in frazione San Bernardino, quelli stessi che quotidianamente portano la calce e i mattoni, con evangelica devozione, su per le impalcature del Santuario che il loro Don Orione ha voluto dedicare alla Madonna della Guardia.

LA CAPANNA DI BETLEMME
Ai piedi del Santuario c’è la capannuccia della nuova Betlemme: un largo vano aperto fra pareti di paglia, in un disadorno cortile. San Giuseppe sta ritto preso la mangiatoia, e rivela una dolcissima pazienza, un pavido fervore, qualcosa che gli fa tremare le mani ed arrossire il giovane volto segnato da finte rughe, fra la barba e la parrucca che in nessun modo riescono a farsi credere vere. Ed ecco la Madonna, di fronte a lui: la Madonna vestita d’azzurro, col viso nascosto nell’ombra del velo. Si direbbe che questo chierico, (perché è un chierico anche questo), non osi imprestar alla Madonna il proprio volto, e più che può lo nasconda.
Da un lato c’ è un asino bigio; dall’altro un bove enorme, gigantesco, un bove da “primo premio”. Recitano entrambi perfettamente la loro parte. Soffiano, soffiano senza tregua, proiettando dalle froge nuvolette di bigio vapore, e poi tendono il muso verso la paglia, con evidente appetito, incuranti di San Giuseppe, che non vorrebbe lasciar loro toccare la paglia ave dorme il Bambino.
Ma questo Bambino, questo neonato che dovrebbe essere il centro di tutto, come mai indugiamo tanto a contemplarlo, a parlare di lui? Lui non è vivo, non potrebbe essere vivo. Sarebbe strano vedere, nel cuore d’un simile quadro, un bambino che si succhiasse le dita, e pianga, e si lamenti, come fanno i pargoletti di noi mortali. E ancora più strano sarebbe, per amore di un santo Presepio, esporre alle insidie d’un raffreddore qualche piccolo bambino incolpevole. Dunque il bambino è finto: il Gesù di questo presepio è di cera. Ma non importa. Quando Don Orione lo leva in alto, come se fosse un calice consacrato, per benedire la folla, nessuno pensa a ciò che esso è, nessuno osserva i suoi occhi fermi, la sua testa troppo rotonda, la sua bocca socchiusa in un sorriso; c’è qualche cosa che quasi intenerisce come una nuova rivelazione di quella che è l’unica vera felicità del mondo: la sua perenne infanzia!

L’ADORAZIONE DEI PASTORI
Silenzio. Di là dalla grande folla che tutto intorno si stipa, s’ode arrivare un suono di zampogne e di pifferi. La folla s’apre: i pastori stanno giungendo, dopo aver attraversato in corteo la città stupefatta. Avanti camminano i pifferai, sonando con lena ammirevole: e sono musiche vere della montagna, soavi antiche musiche eguali da millenni come le più belle preghiere, musiche discese dai monti, insieme coi montanari che ora ce le regalano. Dietro vengono i pastori: dieci, venti, sessanta pastori e pastorelli vestiti di bianchi manti, di pelli arruffate, alcuni barbuti come boiardi del Boris, tutti compresi della loro parte come forse nessun attore fu mai. Sono chierici anche questi. Ammiriamo lo zelo e la disciplina dei chierici di Don Orione. C’è uno che si finge vecchio, cammina a piccoli passi, e non allunga il passo nemmeno per schivare le pozzanghere. C’è un altro che guida le pecore, e si direbbe abbia fatto sempre il pastore.
Accanto al presepio, il corteo si sofferma. I Pastori, con affannosa impazienza, piantan la tenda, poi si accingono all’adorazione.
E il popolo di Tortona segue il cammino dei pastori, passa adorando dinnanzi al Presepio; bacia il Bambino mentre i pifferai suonano e gli Angeli cantano.
Ora ecco muore, tra guanciali di nubi, il giorno che ha visto nascere questo Presepio. Ma il Presepio non morirà così presto. Esso durerà, come tutti i Presepi del mondo, pei dodici giorni che corrono fra il Natale e l’Epifania: le due chiari parentesi che chiudono l’ incontro dell’anno che finisce con l’anno che comincia. Alla capanna di questa Betlemme saliranno altri cortei di zampognari, di pastori, di pecore e di adoratori.
E finalmente, il giorno dell’Epifania, da Porta Voghera partiranno, diretti a questa meta, i Re Magi che portano l’oro, l’incenso e la mirra. Baldassarre, Melchiorre e Gaspare appariranno col loro seguito di guerrieri e di servi. I cavalli scalpiteranno bravamente: gli asinelli portatori di soma raglieranno del loro meglio. E cercheremo, da un polo all’altro, la cometa che usa guidare quei Re, segneremo e spereremo di vederla apparire e navigare bella e luminosa, con una corte di angioli invisibili che reggono la sua pesante coda, come se fosse lo strascico d’una regina.

A cura di Patrizia Martinez



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