Come l’oro si prova col fuoco e l’amore coi fatti, così la fede si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali; si prova nei cimenti e combattimenti esterni.
Giovedì, 30 Marzo 2023
11 Marzo 2015
DON ORIONE: Come visse l'11 marzo 1940, a 2 giorni dalla morte.
Un'altra giornata normale e serena a Sanremo. Un gioco di amabile scaltrezza tra Don Orione e Modesto, il chierico infermiere.

In una lettera di quell’11 marzo, Don Orione informa:  “Mi trovo a Sanremo da tre giorni per un po’ di convalescenza, perché, dopo quella bastonata al cuore e quando già avevo ripreso a dire la santa Messa, mi capitò addosso una bronchite, da cui comincio a sentirmi libero da pochi giorni. Veramente avrei dovuto riprendere servizio, ma sono venuto qui unicamente per accontentare don Sterpi e tanta brava gente. E mi ci sono rassegnato; ma, grazie a Dio, spero di poter riprendere presto il mio modesto lavoro per la fanciullezza bisognosa di fede e di un’arte che dia pane, e per i nostri cari poveri. Non è tra le palme di Sanremo, ma tra i poveri che devo vivere e morire”.

Il chierico infermiere Modesto Schiro annota con precisione nel suo diario: "La levata alle sei. Diciamo insieme l’Angelus e le preghiere del mattino che segnò lui stesso; mezz’ora di meditazione sull’Apparecchio alla morte di S. Alfonso; verso le sette la S. Messa. Un po’ lunga anche questa mattina. L’atteggiamento, sempre più raccolto, era ancora più assorto del solito nella preghiera. Io lo guardavo, e mi colpiva quella sua bella devozione, semplice, tanto assorto.
Dopo il ringraziamento, colazione in parlatorio. Mangiò ancora quel poco, ma con buon appetito. Poi al lavoro, verso le otto.

Quest’oggi è giornata campale”, mi disse.
Doveva, fra l’altro, spedire il telegramma al Santo Padre. Per la sua corrispondenza mi fece scartabellare più volte i Promessi sposi del Manzoni, e la Divina commedia di Dante Alighieri. Scrisse lettere che, dall’attenzione con la quale le scriveva, mi sembrò dovessero essere assai importanti. Furono, nella giornata, 22 o 23. Le andai ad impostare io.
Come la giornata precedente, sospendeva di tanto in tanto il lavoro per prendersi il capo fra le mani, con quell’atteggiamento che mi sembrava di preghiera; e non  mancava di fiorire le parole, che mi rivolgeva, con un buon pensiero delle cose di Dio.

Alle 12, come al solito, Angelus; poi pranzo in parlatorio. Indi la Visita al Santissimo Sacramento in Chiesa. Nella mattinata aveva ricevuto anche alcune visite in parlatorio di due o tre signore.

Ed eccoci al riposo, dopo il pranzo. Il chierico Modesto Schiro ha una geniale idea: far riparare la veste lisa di Don Orione, l’unica che aveva, così sarebbe stato costretto a stare a letto di più e non avrebbe scritto tante lettere. 

“Signor Direttore, gli dissi, riposi un poco. Intanto io porto la veste alle suore e la faccio rammendare…”.
Mi guardò un po’, poi mi disse: “Senti, non potrebbero ripararla questa sera? Vai a sentire le suore”.
Dalle suore non ci andai. Uscii un poco e dopo una decina di minuti tornai.
“Le suore alla sera sono stanche, il lavoro lo fanno più volentieri di giorno. Mi dia la veste dopo il pranzo!”.
Modesto entra in camera per prendere la veste di Don Orione e portarla alle suore. Don Orione, già sotto le coperte, consegnandogliela gli disse: “Intanto che le suore riparano l’abito, va’ a visitare il santuario di Bussana. Prega, prega. Vedrai che bel santuario che trovi!”.

“Tra andare e venire sarò stato via un’ora e mezza – racconta il buon Modesto - . Tornato, la veste non era ancora pronta. Me la dettero verso le quattro. Pensando che Don Orione dormisse, non lo disturbai. Poi m’accorsi che faceva dei versi con la gola come uno che chiarisca la gola: capii che era un modo discreto per farmi capire che aspettava la veste. Allora mi decisi, bussai ala porta:
“Permesso?”.
Un momento – rispose. E poi: Avanti!”.
Entrai, l’attesa era stata brevissima. Ma vidi subito che aveva lavorato; sentendomi chiedere permesso, era andato a mettersi a letto, in fretta, tanto che una coperta era scivolata da una parte in terra. Sul tavolo c’era un bel mucchio di lettere.
Oh, sei arrivato!”.
Avevo la veste tra le mani. E vedendo che io guardavo al mucchio delle lettere su tavolo, Don Orione disse:
Cosa guardi, curioso!”.
“Guardo, guardo…”, balbettai io.
I miei occhi e la mia testa stavano rivolti a quel mucchio di lettere; mi dispiaceva a pensare che non aveva riposato".

Poco prima di cena, su suggerimento di Padre Pio da Pietrelcina, arrivò Don Umberto Terenzi, parroco del Divino Amore, ricevuto cordialissimamente.

Fu anche questa una giornata serena, conclusa con il consueto Rosario e le preghiere della sera.

DFP

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Lo scrittoio nella cameretta, 1940
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