Come l’oro si prova col fuoco e l’amore coi fatti, così la fede si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali; si prova nei cimenti e combattimenti esterni.
Giovedì, 30 Marzo 2023
9 Marzo 2015
DON ORIONE: Come visse il 9 marzo 1940, a 4 giorni dalla sua morte.
La partenza da Tortona e l'arrivo inaspettato a Sanremo. La cameretta a Villa Santa Clotilde.

Il sabato 9 marzo è il giorno della partenza per Sanremo.
Al mattino, vestendosi, Don Orione commenta con Zambarbieri: “Povera la mia veste, non ne può proprio più, come la mia vita”.

Celebra la Messa della comunità, distribuisce ancora una volta la Comunione a tutti. Lo fa appoggiando il gomito sinistro sulla mensa dell’altare, senza muoversi.
Poi va da don Gatti: ”Desidero fare la mia confessione, una confessione ad mortem”. Torna nuovamente in camera: quando ne esce, affida la chiave all’incaricato, il chierico Costanzo Costamagna. Con la chiave gli consegnò una certa somma di denaro, non contati come ogni giorno, più abbondanti, e gli disse: “Poi te li daranno altri…”.

Don Orione scende dalla camera. Nel corridoio sono schierati in due file sacerdoti e chierici commossi; egli sorride a tutti, affretta il passo visibilmente emozionato. Don Calegari, che l’attendeva con la macchina, ricorda: “Egli pregò i chierici di ritirarsi, forse perché non voleva scene sulla pubblica via e forse perché la loro presenza gli faceva pena. Don Sterpi, invece, seguito dai sacerdoti si accostò alla macchina visibilmente commosso. Furono scambiati gli ultimi saluti e l’auto lentamente si allontanò.

Alla stazione ferroviaria di Tortona, mentre attendeva il treno, sopraggiunsero di corsa don Pigoli ed i Diaconi che arrivavano dalla cattedrale, ove erano stati ordinati proprio in quelle prime ore della mattina. Don Orione li benedisse, sorrise, e li congedò imbarazzato, non volendo che si creasse attenzione attorno alla sua persona.
Quando fu dato il segnale di arrivo del treno, Don Orione si alzò e, uscendo sul marciapiede, visto un fotografo che stava aspettandolo al varco, riuscì con abile manovra a eluderlo e fu colto solo di sfuggita.
Rimase il tempo per gli ultimi sguardi e saluti. Si sforzava di sorridere, traspariva la sofferenza di Don Orione in quell’estremo congedo da tutte le persone e cose più care. Salì sul treno. Lo accompagnava il chierico infermiere, Modesto Schiro, che ora ci racconta come andò.

Il viaggio verso Sanremo. “Il treno era affollatissimo. Trovammo un posto per lui in uno scompartimento da 8, di quelli con le panchine di legno, per fumatori. C’erano già sette persone, lui fu l’ottavo. Io restai fuori in piedi. Il treno si mise in moto.
Don Orione dopo un po’ estrasse da una piccola valigetta, che aveva portato con sé, un mucchio di posta; prese la sua penna stilo e si mise a fare della corrispondenza.  Si cambiò treno a Genova. Giungemmo a Sanremo alle 14.30.

Alla stazione non c’era nessuno ad aspettarci. Ci aspettavano da due giorni ed erano andati ad aspettarci al treno due volte; poi avevano smesso, proprio il giorno del nostro arrivo. Non ci aspettavano più ormai. Don Bariani, partito da Tortona in auto pensava di arrivare alla stazione prima del treno, per vari imprevisti giunse con abbondante ritardo.
Usciti di stazione, un calesse-taxi ci portò a Villa Clotilde.

Davanti a Villa Santa Clotilde, scesi e Don Orione mi fece cenno di suonare a quel caratteristico uscio. Non veniva nessuno. Continuai a suonare e finalmente giunse una suora.
Visto Don Orione, cadde in ginocchio: “Non c’è nessuno a casa”.
E Don Orione: “Bene! Hai visto come ricevono Don Orione! Nessuno alla stazione, nessuno qui”. E sorrideva beato.
“Padre – disse la suora -  sono andate tutte al santuario di Bussana!”.

Entrammo, andammo in chiesa a fare una visita. Poi andammo in sacrestia: c’era un bel quadro di Don Orione. Don Orione divenne scuro: “Togli, togli subito, togli quell’affare lì”. Non sapevo che fare; finalmente mi decisi e girai il quadro con la faccia verso il muro.
Poi Don Orione entrò in casa, s’accomodò in parlatorio e si mise al lavoro, traendo dalla valigetta le lettere già scritte, e l’altro carteggio.

La camera di Villa Santa Clotilde era già preparata. Io presi la posta da spedire ed andai fuori, sia per l’impostazione della corrispondenza, sia per andare al San Romolo, ad avvertire don Severino Ghiglione che Don Orione era arrivato.
Don Ghiglione, con alcuni assistenti dell'Istituto San Romolo, corse a Villa Santa Clotilde per ossequiare il Padre. Intanto arrivò anche don Bariani con la sua auto. Arrivarono anche le Suore. Si scusavano: “Niente, niente, sorrideva Don Orione, ci siamo accomodati. Stiamo bene così. Non occorre nulla”. Era lieto.

Arrivò rapidamente la sera. Andai per accendere la luce, ma mancava la corrente. Forse un guasto.
E Don Orione: “Bene, bene, proprio bene! Hai visto? Anche questa!”.
E ci sorrideva… Era evidente che voleva stare lieto e tenermi lieto.
Sulla parete di sinistra, di fronte al letto, c’era una mensola con sopra una statuetta di gesso della Santa Madonna. Davanti le ardeva, in un bicchiere, un lumicino di cera agli sgoccioli, che mandava una tenue luce tremolante.
“Vieni, vieni”, chiamò. Mi mise la mano sulla spalla: “Vedi! Non ti sembra una camera mortuaria?”.
“No, no, è perché stasera non c’è la luce…”.
E lui sorridendo: “Ma bene, ma bene; proprio tutto bene!”.

Cenammo insieme in parlatorio; ma prima avevamo detto insieme il santo Rosario, con tutte le preci della Congregazione. Finita la cena, andammo in chiesa per le preghiere della sera; le segnava lui stesso; poi, verso le nove, ci ritirammo in camera.
La notte passò tranquilla, dormì bene".

DFP

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