
A Villa Santa Clotilde, Don Orione si levò verso le ore sei, forse un po’ prima. E così fece nei tre giorni trascorsi a Sanremo - è Modesto Schiro, il chierico infermiere, che racconta -. Dicemmo insieme l’Angelus, le preghiere della levata. Poi andammo in Chiesa; segnò egli stesso le preghiere di regola del mattino, poi facemmo la mezz'ora circa di meditazione. Lesse lui stesso l’Apparecchio alla morte di S. Alfonso.
Finita la meditazione, passò in sacrestia, si vestì e celebrò la Santa Messa alla comunità; ma già s’era sparsa la voce ch’era arrivato, ed in chiesa vennero diverse persone; in tutto in chiesa c’era una cinquantina di gente, specie signore, benefattrici.
Dopo la S. Messa, è andato al suo banco, in Chiesa, a fare il ringraziamento; prima in ginocchio, poi seduto. Pregava, tutto assorto, con i gomiti sulla spalliera del banco ed il volto fra le mani.
Dopo una mezz’oretta, era pronta la colazione: caffè, latte, qualche biscotto. “No, un po’ di pane, pane ci vuole, è più sostanzioso. Una volta non avevamo nemmeno il pane”. Ed infatti prese un po’ di pane ed una tazzetta di caffè e latte, iniziando e chiudendo col segno della Croce, come si usa in Congregazione. Poi le suore mi avvertirono che c’era della gente che voleva parlare con Don Orione, e lui ricevette alcune persone.
Finite le visite, si pose al lavoro, in camera, fino all’ora di pranzo. Passa ore ed ore al tavolino a sbrigare la corrispondenza.
Ogni tanto lo vedo interrompersi: “Gesù, Gesù”. Rimane assorto in preghiera un momento, poi la penna riprende a correre.
Alle dodici dicemmo insieme l’Angelus; indi passammo in parlatorio per il pranzo. Poi andammo in chiesa per la Visita: c’erano anche le suore che lo avevano aspettato.
Usciti di chiesa, insistei perché non riprendesse subito il lavoro, ma si riposasse un poco.
“Ma dì – rispose – lascia un po’ stare; riposeremo in Paradiso”.
Scrisse altre lettere, mi mandò ad impostare. Il giorno prima (il 9 marzo) mi aveva fatto impostare una quindicina di lettere; oggi, tra mattina e pomeriggio, ne ho impostate diciotto o diciannove.
A tratti poggiava gli occhiali sul tavolo e metteva il volto fra le mani. Penso che in quei momenti pregasse; era una interruzione del lavoro per volgere il pensiero a Dio. “O Gesù, o Gesù!” era la sua giaculatoria più usata.
Nel pomeriggio ricevette ancora. Vennero don Enrico Bariani, don Severino Ghiglione e qualche altro.
Quando incominciammo a recitare il Rosario, speravo che si mettesse a sedere. Ma lui si inginocchiò, ed allora anche io mi inginocchiai e così recitammo il Rosario, con le solite preghiere aggiunte, come si usa in Congregazione. Cenammo verso le sette; c’era anche don Bariani. Don Orione teneva la conversazione lieta e serena.
Dopo cena passammo in chiesa a recitare le preghiere della sera; poi don Bariani ci dette la Buona Notte e si ritirò; anche noi ci ritirammo. Don Orione lavorò un po’ al tavolino, poi si mise a letto, e lesse un po’ la vita di S. Francesco. Mezz’ora dopo, circa, spense il lume, e dormì placidamente.
La giornata era stata per lui una delle solite: di lavoro e di preghiera; aveva parlato il necessario, taciuto molto. L’atteggiamento sereno e lieto, e qualche frase scherzosa per allietare l’ambiente, come era solito.
La salute era stata buona. Tanto che m’aveva detto ad un certo punto: “Ma guarda che ammalato sono io! Guarda se sono da mandare qui per acquistare la salute!”.
DFP
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