Non si può fare del bene stando col muso, con la malinconia, con la tetraggine.
Venerdì, 22 Settembre 2023
11 Novembre 2013
Come formare all’evangelizzazione dei giovani?

Don Sylwester J. Sowizdrzal FDP
Montebello della Battaglia 11 novembre 2013
Convegno Internazionale dei Formatori Orionini

 

  1. Evangelizzazione e nuova evangelizzazione

Il termine evangelizzazione indica, secondo la teologia cristiana, due distinte attività: l’annuncio del Vangelo e l’azione della comunità dei credenti per trasformare la società e renderla adeguata alle esigenze evangeliche[1]. Il tema del nostro incontro riguarda ambedue. E considerando il tema dell’affievolimento e qualche volta addirittura di un abbandono della fede nei luoghi dell’antica cristianità, Papa Giovanni Paolo II ha iniziato il tema di una nuova evangelizzazione.

Nel 1979 Giovanni Paolo II ha detto a Nowa Huta in Polonia che « Abbiamo ricevuto un segno, che cioè alla soglia del nuovo millennio – in questi nuovi tempi, in queste nuove condizioni di vita – torna ad essere annunziato il Vangelo. È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso ».

Durante l'incontro della Conferenza Episcopale Latino-Americana nel 1983 a Haiti il Papa ha spiegato che l’evangelizzazione è: « Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni ». Durante un pellegrinaggio in Francia (1988), ha spiegato che « il punto di partenza della nuova evangelizzazione, è sempre Cristo, il salvatore dell’uomo. I popoli di oggi aspettano la buona novella: Dio è fedele alla sua alleanza con l’umanità, attraverso il Figlio offerto in sacrificio per noi tutti, risorto il terzo giorno, presente con noi fino alla fine dei secoli. La sua luce penetra le tenebre del dubbio. I muri dell’odio vengono abbattuti. Il peccatore viene redento. Il perdono viene offerto fino all’ultimo giorno. La tavola viene imbandita per la comunione nell’amore. A conclusione di questo secondo millennio, l’appello evangelico si rivolge ad ogni uomo, ricco della sua cultura e della sua storia, ma incerto sul senso del suo cammino. Che egli si rivolga verso la verità intera, “che intraprenda il cammino della conversione”. Con il Cristo che gli schiude una nuova vita, egli dirà: “Tu sei mio Padre, mio Dio e roccia della mia salvezza” (Sal 89, 27) ».

Parlando ai vescovi latino-americani a Santo Domingo (12/10/1992) Giovanni Paolo II ha sottolineato che la Nuova Evangelizzazione è l'incontro con Gesù ed esige innanzitutto un rinnovamento di coloro che evangelizzano: « In realtà, il richiamo alla nuova evangelizzazione è prima di tutto un richiamo alla conversione. Infatti, attraverso la testimonianza di una Chiesa sempre più fedele alla sua identità e più viva in tutte le sue manifestazioni, gli uomini e i popoli di tutto il mondo, potranno continuare a incontrare Gesù Cristo ».[2]

Il recente Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione[3] ha sottolineato che per la trasmissione della fede cristiana “I seminari dovrebbero ritenere la Nuova Evangelizzazione come punto focale” che raccoglie gli elementi fondamentali del processo formativo.

 

Riassumendo, possiamo dire che l’evangelizzazione significa l’incontro con Gesù Cristo. Ma si tratta della persona di Gesù Cristo vivo, non di un oggetto venduto sul mercato da uno sconosciuto e per di più senza garanzia. Gesù Cristo vivo vuol dire vivente in colui che lo annuncia con la propria vita. Colui che evangelizza non è un venditore che ha una merce da vendere per fare i soldi e poi sparire, ma è un testimone che va incontro agli altri e mostra con la propria vita i frutti che sta sperimentando dalla comunione interiore con Gesù che ha trasformato la sua vita, l’ha reso felice e ricco di beni che non si possono avere in nessun altro modo. Questo Gesù può trasformare in tal modo anche la vita delle persone che lo vorranno incontrare e affidargli la loro vita. Se mancherà questa testimonianza di vita, se nel cuore del missionario mancherà il Cristo vivo che ha trasformato la sua vita e quella della sua comunità, con che cosa si va per evangelizzare? Si andrà ad insegnare celebrazioni e riti che non hanno la forza salvatrice. La forza salvatrice arriva dal Cristo presente nei sacramenti che viene accolto nel cuore dei credenti per trasformare la loro vita. Se manca questa presenza di Cristo, uno può solo insegnare le celebrazioni e i riti che sono vuoti di forza. Dimostrerà magari di essere religioso, o perfino devoto, ma la salvezza non c’è in quei segni. Se uno prega senza questa fede, sarà religioso e devoto, ma non certo credente. E le sue celebrazioni e i riti saranno solo magia: “abracadabra e i peccati sono rimessi”. Il missionario è tutt’altro: è un testimone che porta con se Gesù vivo, il quale trasforma la vita sua e quella degli altri.

 

Alcune piste pedagogiche

Nemo dat quod non habet - Nessuno da’ quello che non ha. Quindi per portare il Cristo ad altri, occorre che prima lo riceviamo nel nostro cuore e ci lasciamo trasformare noi stessi dal suo amore per poi insegnare ad altri a credere in Lui e a mettere in pratica le sue parole, con fiducia, perché Egli possa trasformare anche la loro vita. Non può ricevere il mandato missionario uno che non ha fatto questo percorso di fede e quindi non è convinto di poter condividere con gli altri l’amore di Gesù che è la forza che trasforma la vita dei credenti. Sarebbe un abuso e porterebbe a un’anti-testimonianza.

Quindi l’evangelizzazione esige l’autenticità della persona e una certa maturità della fede. Per questo è indispensabile che le persone che vogliono evangelizzare siano persone che hanno raggiunto una certa maturità di:

  1. personalità (autonomia psicologica di persona)[4]
  2. coscienza (è la condizione di autenticità)
  3. religiosità che è un’autentica e profonda relazione con Dio (spiritualità).

Questi 3 ambiti della vita dell’uomo sono anche tra di loro fortemente collegati: una persona con la personalità matura riesce a formare in modo più maturo la propria coscienza e la sua religiosità, e al contrario; la coscienza ben formata è la condizione di una matura personalità e religiosità e la profonda religiosità porta a crescere sempre di più nelle prime due dimensioni.

Comunque la personalità matura rimane sempre in un certo senso un ideale e quindi la formazione della personalità matura è soggetta a un continuo processo di divenire che dura per tutta la vita. E in risultato di questo processo la persona diventa capace di prendersi la responsabilità della propria vita e si sviluppa in modo unico e irripetibile. I psicologi pur proponendo diversi criteri della personalità matura, sono d’accordo che le vie di sviluppo della personalità e della maturità sono così numerose, quanti sono gli individui e in ognuno dei casi il risultato finale è unico e irripetibile. Riporto qui solo tre dimensioni, nelle quali raggiuta la maturità, possono servire come indicatori o criteri per giudicare la personalità matura:

  1. L’uomo è tanto più maturo, quanto più autonomo, cioè nel suo pensare, volere, decidere e agire si regge dalle proprie convinzioni e dal proprio sistema di valori.
  2. L’uomo è tanto più maturo, quanto più capace di trattare ogni altro uomo come persona, cioè come valore assoluto in se stesso, e non tratta le persone in modo strumentale.[5]
  3. L’uomo è tanto più maturo, quanto più preciso e coscienzioso nel guardarsi dentro le proprie motivazioni, cioè quanto più capace di capire i motivi del proprio agire, senza usare primitivi meccanismi di autoinganno.

 

  1. La fedeltà a Dio e all’uomo

Ultimamente mi è capitata tra le mani la conferenza di un gesuita che parlava della fedeltà a Dio e all’uomo nella vocazionale religiosa. Il Concilio Vaticano II dice che “Essendo norma fondamentale della vita religiosa il seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo, questa norma deve essere considerata da tutti gli istituti come la loro regola suprema.[6] I religiosi che vogliono imitare Gesù, dovrebbero mettersi alla ricerca della volontà di Dio, come l’ha fatto Gesù stesso. Gesù ha accolto la natura umana per cercare e compiere in essa la volontà di Dio[7] e ha detto di essere venuto per compiere la volontà di Dio personalmente, non perché lo facessero gli altri. E nel Padre nostro insegna a pregare perché si faccia la volontà di Dio. Affinché il nostro operare abbia il valore salvifico, Dio vuole che cerchiamo e accogliamo la sua volontà personalmente e liberamente. E dobbiamo imparare da Gesù come farlo. Quando Gesù era nel Getsemani, pregava e sudava sangue.[8] La sua era la preghiera di uomo spaventato che voleva compiere la volontà di Dio e ha scoperto che nel suo caso ciò significava affrontare la terribile morte sulla croce, anche se dopo di essa sarebbe avvenuta la risurrezione. Gesù nella sua preghiera comprende che è questa la volontà di Dio per lui e l’assume anche come sua, così in Gesù la fedeltà a Dio si è identificata con la fedeltà a se stesso.

In riferimento alla vita religiosa ci domandiamo: può qualcuno dispensarsi dalla ricerca della volontà di Dio, o un religioso può dire che è il superiore che cerca per lui la volontà di Dio?

Occorre stare molto attenti a non ridurre la ricerca della volontà di Dio a un semplice apprendere di stare in docile sottomissione, o solo limitarsi a stare attenti per non commettere peccati. Che cosa è più importante: imparare a cercare la volontà di Dio o a stare obbedienti al superiore? È più importante trovare la risposta alla domanda dove andiamo o imparare a non inciampare? Forse qualche superiore sarà contento che i suoi religiosi non inciampano, ma dall’altra parte forse non si rende conto che non fanno neanche un passo avanti sul cammino che Dio ha preparato loro per realizzare la loro vocazione. Sarebbe troppo facile non inciampare, quando si gira attorno, seguendo sempre lo stesso sentiero. Ma è sufficiente che il superiore si accontenti solo del fatto che nessuno dei religiosi cada, senza pensare che tutti marciano ripetendo sempre lo stesso giro nel dolce andare da nessuna parte? Non possiamo dimenticare che il Signore ha dato a ciascuno diversi talenti e desideri da usare, ciascuno è un genio in qualche cosa. La fedeltà a Dio e all’uomo esige che ci domandiamo prima in che direzione andare, per usare bene questi talenti per realizzare la volontà di Dio e rimanere fedeli a se stessi. Dio sicuramente chiederà il conto a ciascuno di come ha usato talenti ricevuti, attitudini, propensioni e abilità, e chiederà anche ai superiori se li hanno giudicati superflui.

La fedeltà a Dio e all’uomo, secondo l’ottica che ci mostra Gesù, viene incarnata nella vita in ogni epoca in diverso modo. La fedeltà a Dio in una congregazione significa non solo la fedeltà alla propria vocazione, ma anche la fedeltà a Dio che sostiene le nostre congregazioni, perché le ha volute per un fine, vuol dire la fedeltà ai suoi progetti per il futuro. Questo fine e i progetti, con il mutare del mondo, subiscono cambiamenti. E come un bambino ha bisogno che i suoi genitori in ogni tappa della sua crescita gli propongano un’altra cosa, così il mondo ha bisogno che la Chiesa ogni volta risponda in un altro modo ai segni dei tempi.

Nel periodo della formazione è essenziale aiutare i giovani religiosi a capire che la loro risposta all’amore di Dio che li chiama avviene in un clima di ricerca e di scoperta della volontà di Dio per ciascuno di loro. E questa ricerca passa per diverse fasi della vita, determinando il cammino del religioso. Fatte le fondamentali scelte di vita riguardo alla propria vocazione, questa scelta non finisce, perché la vita va avanti, cambiano le situazioni, luoghi e le persone ed esige di essere sempre attualizzata. Per questo la fedeltà alla ricerca della volontà di Dio richiede di mantenere questa sensibilità alla domanda “che cosa vuole da me il Signore?” anche nelle situazioni quotidiane di incontro con ogni persona, perché anch’essa ha un suo progetto che le ha preparato il Signore.

 

Alcune piste pedagogiche

Nella crescita personale è importante che ciascuno conosca se stesso, i suoi talenti, le attitudini e le propensioni. Un giovane, quando entra nella Congregazione, discerne la sua vocazione per vedere se le sue propensioni personali corrispondono con il carisma della Congregazione, perché realizzando la propria vocazione possa anche crescere personalmente e realizzare il piano di Dio riguardo a lui e alla Congregazione nella Chiesa e nel mondo. Per questo si può dire che il religioso raggiunge una certa maturità se assume che la ricerca e il discernimento della volontà di Dio non finisce con il seminario e la professione dei voti o l’ordinazione sacerdotale, ma continua per tutta la vita, ogni giorno e in ogni situazione dove si troverà.

Chi acquisisce questa coscienza, capirà che l’evangelizzazione è sempre un incontro con un'altra persona: il missionario e la persona che riceve l’annuncio. Quindi anche la persona che il missionario incontra ha i suoi talenti e le propensioni di cui è responsabile, perché diano frutto nella sua vita. È quindi l’annuncio deve realizzarsi in dialogo tra i due, in clima di ricerca della volontà di Dio alla luce del Vangelo. Poi sarà lo Spirito Santo a guidare tutti e due per far nascere una nuova comunità che crescerà sensibile alle persone che la formeranno e ai segni dei tempi.

Alla luce di quanto detto occorre che ognuno dei religiosi, sin dall’inizio della formazione conosca se stesso e cresca in relazione con la comunità in cui vive e discerna come si realizzerà il suo futuro apostolato. A tale scopo il religioso farà il suo progetto personale di vita, prevedendo in che misura e in che modo collaborerà con il progetto comunitario e quello apostolico. Ognuno è apostolo con i suoi talenti, le attitudini e le propensioni e ognuno fa parte di una comunità che ha anche le sue risorse e il suo progetto comunitario ed apostolico.

Affinché tutto questo possa realizzarsi, occorre dedicare nel tempo della formazione uno spazio indispensabile per la conoscenza dei talenti, le attitudini personali e le propensioni di ciascuno, per discernere come usarli, affinché l’obbedienza sia l’espressione e la realizzazione della volontà di Dio che impegna le capacità di ciascuno così da realizzare la missione della Congregazione nella Chiesa e nel mondo.

 

  1. L’evangelizzazione dei giovani nello stile orionino

È importante che i giovani religiosi siano formati per essere evangelizzatori di altri giovani, sensibili alle loro necessità, scoprendo i loro talenti e attitudini, affinché coloro che vengono evangelizzati non siano passivi, ma ricevano l’annuncio da soggetti attivi, assumendosi la propria responsabilità nell’evangelizzazione e continuino la trasformazione della società. Sono convinto che nessuno conosce meglio dei giovani il linguaggio e la cultura giovanile, per questo è importante che siano i giovani ad evangelizzare i giovani. Il successo di questa proposta dipenderà dalla qualità dei giovani missionari. Prima di andare ad evangelizzare gli altri è necessario che i missionari siano evangelizzati dal Signore, per andare ai giovani come testimoni.

 

Perché evangelizzare?

  1. È il bisogno del cuore.
  2. È la missione di Cristo, della Chiesa e della Congregazione.

Come evangelizzare?

  1. Con la testimonianza (personale e comunitaria).
  1. Partendo dai talenti e dalle potenzialità.
  2. Suscitare la partecipazione. L’iniziativa del giovane potenzia la creatività e porta alla corresponsabilità. Si tratta di coinvolgere tutti e di portarli alla coscienza del dovere di continuare la formazione/autoformazione[9].
  1. Con il nostro metodo è una sintesi d’impiego delle risorse congregazionali (carismatiche) ed ecclesiali (inseriti nella Chiesa):
  1. Conoscere bene i propri talenti;
  2. Conoscere bene i metodi di lavoro di Don Orione;
    1. Aspetti educativi ricavati dalla vita di Don Orione stesso: continua ricerca della volontà di Dio e la croce che l’accompagna.
      1. Fedeltà a Dio (continua ricerca della volontà di Dio in preghiera).
      2. Fedeltà all’uomo (sensibilità all’uomo).
      3. Progetto personale di vita (risposta alla ricerca della volontà di Dio).
    2. Approccio personale (es. Mario Ivaldi, Ignazio Silone).
      1. Stile educativo di Don Orione[10].
      2. I principi educativi di Don Orione (3 principi fondamentali)[11].
    3. Far crescere le persone (Ignazio Silone dopo la notte di viaggio in treno con Don Orione è uscito tutto edificato, perché ha potuto parlare con lui di cose grandi, come si parla con adulti).
    4. Oratorio e il sistema cristiano-paterno (affinità di Oratorio di Don Bosco, Oratorio di Tortona e Oratorio di San Filippo Neri).
    5. Lavoro con i giovani sempre in ottica vocazionale.
  3. Impegnarsi a lavorare dentro un progetto (a livello di Provincia e di Congregazione):
    1. programmazione comunitaria;
    2. programmazione provinciale:
      1. conoscere le necessità del proprio Paese
      2. conoscere i pregi della propria Provincia
    3. programmazione congregazionale (inserirsi nella programmazione di Famiglia)
      1. la pastorale giovanile-vocazionale
      2. il Movimento Giovanile Orionino
      3. Centro Provinciale Vocazioni
  1. È molto importante fare alla fine di ogni esperienza una condivisione e una verifica periodica. Dopo ogni esperienza occorre fare una condivisione la quale permetterà di sapere come sono andate le cose. Ciò permetterà di far tesoro delle cose buone, suscita dialogo e migliora gli interventi. Le cose buone condivise motivano gli altri, quelle negative permettono di cercare insieme soluzioni per migliorare.
  2. È auspicabile che i giovani religiosi si facciano delle chiare sintesi sui contenuti essenziali da trasmettere.

 

  1. Evangelizzazione con il Movimento Giovanile Orionino (MGO)

Evangelizzare alla orionina significa promuovere il protagonismo dei giovani tramite il Movimento Giovanile Orionino. Nel nostro cammino verso il MGO abbiamo individuato 3 ambiti di lavoro con i giovani che corrispondono ai 3 elementi strutturali del Movimento Giovanile Orionino (saranno trattati nel prossimo Incontro Internazionale della Pastorale Giovanile-Vocazionale che si terrà a Tortona nel 2014):

  1. Identità del giovane orionino (la formazione dei giovani al carisma, espressa durante il Forum dei giovani orionini di Rio de Janeiro nell’indicazione di passaggio dalle singole iniziative al progetto; ha come fine la scoperta del profilo carismatico integrale del giovane orionino che esprime l’essenziale unità nella ricchezza delle diversità (cfr. nn. 1-21 POPGV), da raggiungere in un processo di crescita, tramite diverse tappe). In questo ambito occorre elaborare: I percorsi formativi per l’identità orionina dei giovani. Inoltre il progetto richiede anche di camminare in comunione e propone la realizzazione di una missione.
  2. Comunione (la formazione a un senso di appartenenza alla Famiglia (Orionina), espressa dal Forum dei giovani orionini di Rio de Janeiro come il passaggio da gruppi al movimento per realizzare l'unità nella diversità, è l’essenziale condizione per la continuità della formazione e della conseguente crescita nell’identità orionina). In questo ambito occorre sviluppare: I percorsi formativi per la comunione dei giovani orionini.
  3. Missione (la formazione dei giovani per diventare cristiani maturi con lo stampo orionino, che scoprono nella vita la propria vocazione (da laici o consacrati), capaci di evangelizzare gli altri giovani e i poveri). Questo terzo ambito vuole offrire: I percorsi formativi per la missione dei giovani orionini.

 

In ognuno di questi 3 ambiti la crescita è prevista passando per 3 tappe: imitazione, identificazione e interiorizzazione.

 


[1] Evangelizzare - gr. euangelizein annunciare una buona notizia, annunciare una vittoria.

[2] Per approfondire questo tema si rimanda all’Enciclica Redemptoris Missio.

[3] Proposizione 49, Roma ottobre 2012.

[4] Si tratta della maturità che si regge dei giudizi autonomi dalle fonti esterne, della responsabilità per le decisioni prese, ecc. Uno dei temi molto frequenti nell’ambito della personalità matura è quello della capacità di adattarsi alle nuove condizioni di vita da una parte e dall’altra di non cadere nel conformismo.

[5] È legato a questo anche il tema di approccio emotivo/affettivo alle persone.

[6] Perfectae caritatis 2.

[7] “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà (Ebrei 10, 5-7); cfr. Salmo 40, 7-9: “7Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. 8Allora ho detto: «Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, 9che io faccia il tuo volere.

[8]Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà.” (Ebrei 5,7); cfr. Luca 22, 42-44: “« Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta ». Allora gli apparve un angelo dal cielo per rafforzarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra.

[9] Voglio ricordare nel processo educativo i veri protagonisti sono solo due: il giovane e lo Spirito Santo (i formatori sono solo accompagnatori in questo processo).

[10] Secondo il sistema cristiano-paterno non si castiga ma si previene (infatti castigando si può modificare il comportamento di una sola persona, inoltre i risultati educativi di tale azione non sembrano essere convincenti moralmente e duraturi, mentre prevenendo si influisce sulle cause per cui si può modificare l’atteggiamento di molte persone).

[11]Si sono scritti dei grossi libri sulla educazione e si scriveranno chissà quanti volumi su questo importante ed inesauribile soggetto. Ma in tutti quelli che ho letti ed analizzati, io non ho trovato nulla che equivalga la ricetta che vi mando, madri ansiose per le anime dei vostri figli. Qualunque sia il fanciullo che volete rendere buono e virtuoso: fate il bene davanti a lui, fate del bene a lui stesso, fate fare del bene a lui. Siate perseveranti o madri; tenete il vostro figlio a questo regime, tenetelo pazientemente e costantemente in quest'atmosfera di bene da vedere, di bene da ricevere, di bene da fare: egli non resisterà, e diventerà quale lo vorrete” (Don Orione. Intervista verità, San Paolo, p.91).

 

ANNO DEI GIOVANI ORIONINI, 3 Ottobre 2018
ASCOLTARE, DISCERNERE E VIVERE LA MISSIONE
Un anno dedicato ai giovani della Famiglia carismatica orionina, per riaccendere la fede e riscoprire la missione: "Vivere ogni incontro con gli altri sempre sotto il segno della carità".
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