Noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare.
Mercoledì, 29 Novembre 2023
17 Novembre 2011
San Luigi Orione, un protagonista del Novecento

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SAN LUIGI ORIONE,

UN PROTAGONISTA DEL NOVECENTO

Piersandro Vanzan S.I.

(La Civiltà Cattolica, 2004 III 116-129 quaderno 3698)

 

Di san Luigi Orione († 1940)[1], Giovanni Paolo II disse all’omelia durante la canonizzazione: «Il cuore di questo stratega della carità fu senza confini perché dilatato dalla carità di Cristo. La passione per Cristo fu l’anima della sua vita ardimentosa, la spinta interiore di un altruismo senza riserve, la sorgente sempre fresca di una indistruttibile speranza»[2]. Non a caso l’illimitata fiducia nella Divina Provvidenza è la chiave di lettura della vita personale, comunitaria e apostolica di questo santo, il quale arricchisce ulteriormente la compagine di santi e beati piemontesi che, tra l’Ottocento e il Novecento, hanno dato prestigio alla Chiesa e all’Italia: Alberione, Allamano, Barberis, Bosco, Cafasso, Cottolengo, Faà di Bruno e Murialdo.

Di specifico don Orione ha il rapportarsi strettamente alla Chiesa (con un voto di speciale fedeltà al Papa) e il coltivare una totale fiducia nella Provvidenza, sia come atteggiamento interiore, sia nell’apostolato della carità: infatti intitolò la sua fondazione principale Piccola Opera della Divina Provvidenza. Già mezzo secolo fa, quando lo scrittore inglese Douglas Hyde, in casa di Ignazio Silone a Roma, gli manifestò l’idea di scrivere la biografia di quel prete cui Ignazio doveva tanto e tanto bene ne aveva scritto[3], la risposta fu illuminante: «Qualunque cosa facciate, quando scriverete di lui, vi supplico di non trasformare don Orione in una specie di Beveridge cattolico. Sarebbe uno sminuirne la statura. Certo, egli si occupò di opere caritative, come molti altri, e anche di giustizia sociale. Però, la sua forza eccezionale è riposta nel fatto che in tutto ciò che faceva egli contava unicamente e completamente su Dio»[4]. Infatti, considerandosi semplicemente «facchino della Divina Provvidenza», quando chiuse la sua giornata terrena, a 68 anni, erano più di cento le opere cui aveva dato vita —quasi sempre in bolletta, vestito come l’ultimo dei poveri — in Italia, Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Stati Uniti, Gran Bretagna, Rodi, Polonia, Albania e Palestina, ovunque rinnovando le meraviglie che la Provvidenza suole operare quando trova strumenti così docili.

 

Vita, carisma, opere e fondazioni di don Orione 

Nato a Pontecurone (AL), nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872[5], ultimo di quattro fratelli — sicché i vestiti gli arrivavano quando gli altri li avevano ben consumati —, Luigi ebbe un padre che, onesto selciatore di strade, era orgoglioso di essere garibaldino anticlericale e una mamma che, con una profonda fede e insieme con una naturale grande capacità pedagogica, non solo si occupava dei figli, ma collaborava pure al magro bilancio familiare risparmiando su tutto e ricavando qualche soldo con lavori extra[6] . E così Luigi sperimentò, fin da piccolo, insieme alle ristrettezze economiche tipiche del sottoproletariato, anche una grande fiducia nella Provvidenza. Nonostante avvertisse chiara la vocazione al sacerdozio, per tre anni (1882-85) dovette aiutare il padre per le strade del Monferrato, come garzone selciatore, finché nell’ottobre 1886 la Provvidenza — grazie all’interessamento del suo parroco — lo fece ammettere nell’oratorio salesiano di Valdocco a Torino, vicino a don Bosco. Notate le qualità del ragazzo, il Santo gli permise di confessarsi da lui — solitamente curava i ragazzi più grandi — e addirittura gli promise: «Noi saremo sempre amici»[7]. Altro influsso significativo, dimostratosi col tempo altrettanto provvidenziale, fu, in quel periodo, l’esempio delle opere di carità di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, la cui Piccola Casa era situata a Torino, non distante dall’oratorio salesiano.

Terminati i tre anni di studio a Valdocco, ritornò nella sua diocesi e a ottobre 1889 iniziò il corso di filosofia nel Seminario di Tortona. La povertà della famiglia, aggravata dalla morte del padre (1892), costrinse Luigi a lavorare per continuare gli studi. Gli venne assegnata la mansione di custode e sacrestano del Duomo: serviva due o tre messe al giorno, curava i paramenti, le candele ecc. abitando in una stanzetta ricavata nei voltoni del sacro edificio, vicino al campanile. Fu proprio allora, in quelle condizioni materialmente precarie e durante quel servizio umanamente poco gratificante, che avvertì la chiamata a curare l’educazione cristiana dei ragazzi più abbandonati. La «pro-vocazione» (etimologicamente) gli venne incontrando un fanciullo che, allontanato dalla scuola di catechismo, piangeva sconsolato. Lo invitò a continuare quell’istruzione sotto i voltoni del Duomo e, ben presto, quel ragazzino fu seguìto da molti altri. Perché Luigi, oltre al catechismo, li faceva giocare a nascondino sotto i voltoni, né mancavano le castagne o altro. Insomma, imitava quanto aveva visto fare nell’oratorio di Valdocco, ma lo faceva lassù, nelle soffitte del Duomo, tra i santi di legno messi a riposare tra la polvere.

Di sotto, ogni tanto, i canonici avvertivano strani rumori, e anche la sacrestia era ormai frequentata da frotte di ragazzi che chiedevano informazioni «per andare da Orione». Così quell’oratorio improvvisato sotto le volte del Duomo fu chiuso, e i ragazzi si ritrovarono di nuovo in mezzo alla strada. Ma Luigi non si arrese e continuò l’oratorio nella forma itinerante: sui prati o tra i ruderi del castello. Certo, era una soluzione di emergenza che non poteva durare a lungo; infatti il vescovo di Tortona, mons. Igino Bandi — altro strumento della Provvidenza (per 15 anni) —, che da tempo osservava quella strana creatività apostolica, chiamò Luigi e gli mise a disposizione il giardino dell’episcopio: con esultanza di quegli orionini ante litteram ma tanta sofferenza per la mamma del vescovo, che vide distrutte tutte le sue aiole.

Né il giovane chierico si limitava a imitare l’oratorio salesiano. C’erano anche i problemi sociali ed ecclesiali che agitavano quello scorcio dell’Ottocento: breccia di Porta Pia, fine del potere temporale, avvento di Governi liberal-massonici e primi moti socialisti. A tali sfide, egli rispose approfondendo la dottrina sociale cristiana e trasmettendo gli insegnamenti di Leone XIII ai ragazzi e ai giovani (ormai legione) che gli stavano intorno. Nel luglio 1892, inaugurò addirittura il suo primo oratorio, a Tortona, ma poiché la sua impetuosità era anche politica, il prefetto ottenne dal vescovo la chiusura di «quel covo di sediziosi»[8]. L’anno seguente tuttavia, ancora chierico e senza denaro, Luigi osò aprire — confidando unicamente sulla Provvidenza, che puntualmente non lo deluse[9]  — addirittura un collegio nel rione San Bernardino, destinato a ragazzi poveri ma volonterosi, che eventualmente avrebbero trovato lì un pre-seminario.

Ordinato sacerdote nel 1895, alla sua prima messa il vescovo non soltanto impose l’abito clericale a sei allievi di quel collegio, ma, in più, concesse a qualche seminarista d’iniziare con don Orione una forma di vita comune. Era il primo nucleo della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Da questo momento, si resta impressionati non solo dal ritmo e dalla qualità del lavoro apostolico orionino, ma anche dal fatto che questa nuova forma di vita consacrata — non ancora canonicamente riconosciuta — apriva in rapida successione ben cinque nuove case[10] e dava vita al ramo degli Eremiti della Divina Provvidenza, dedicati alla preghiera e al lavoro, soprattutto nelle colonie agricole che, in quell’epoca, meglio rispondevano all’istanza di elevazione sociale e cristiana del mondo rurale. Quando finalmente mons. Igino Bandi, il 21 marzo 1903, riconobbe la Congregazione religiosa maschile della Piccola Opera, chiamandoli Figli della Divina Provvidenza (sacerdoti, fratelli eremiti e coadiutori), è interessante notare la formula riassuntiva di quel carisma: «Collaborare per portare i piccoli, i poveri e il popolo alla Chiesa e al Papa, mediante le opere di carità», professando un quarto voto di «speciale fedeltà al Papa»[11].

Con questo spirito don Orione nel 1913, dopo il tragico sisma a Reggio Calabria e Messina, inviò la prima spedizione di missionari in Brasile, e subito dopo l’altro terremoto nella Marsica, in Abruzzo, nel 1915 fondò la Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità: per far sperimentare ai più bisognosi la paternità di Dio e la maternità della Chiesa. Disseminava così l’Italia di «Piccoli Cottolenghi», nei quali riproduceva — in piccolo, appunto, ma con geniale originalità[12]  — quanto il Cottolengo aveva fatto a Torino in grande. Nel 1927 fondò anche il ramo contemplativo delle Suore Sacramentine non vedenti adoratrici, cui si aggiunsero più recentemente le Contemplative di Gesù crocifisso. Anticipando pure qui il Vaticano II, don Orione coinvolse nell’impegno caritativo e sociale anche i laici, fondando l’associazione delle Dame della Divina Provvidenza (1899), mentre nel 1934 costituì quella degli Ex Allievi e nel 1940 quella degli Amici. Dopo la sua morte, ma dando compimento alle sue intuizioni, fu costituito l’Istituto Secolare Orionino e il Movimento Laicale Orionino.

Non a caso don Orione, ispirandosi al paolino «vivere secondo la verità nella carità» (Ef 4,15), trattò con grande sensibilità e frutto anche le questioni del modernismo[13], della riconciliazione tra Stato e Chiesa[14], della riabilitazione dei sacerdoti lapsi[15]. Fu predicatore, confessore e organizzatore instancabile di pellegrinaggi, missioni popolari, presepi viventi e altre manifestazioni della religiosità popolare. Grande devoto della Madonna, ne promosse la devozione con ogni mezzo, e col lavoro manuale dei suoi chierici innalzò il santuario della Madonna della Guardia a Tortona (1931) e della Madonna di Caravaggio a Fumo (1938). Negli ultimi tre anni di vita, il santo risiedette nella Casa Madre di Tortona; visitava però ogni settimana il Piccolo Cottolengo di Milano e di Genova, né si sottraeva — nonostante i crescenti problemi di salute — a quanti invocavano la sua carità. Nell’inverno 1940, già sofferente

Nell’inverno 1940, già sofferente di angina pectoris e dopo reiterati attacchi di cuore, si lasciò convincere a riposare qualche giorno nella casa di San Remo e qui chiudeva l’intensa sua giornata terrena il 12 marzo 1940, sospirando «Gesù! Gesù! Vado»[16].

Santi, terremoti, difficoltà e persecuzioni

Il terremoto di Reggio Calabria e Messina (1908) provocò 90.000 morti. Don Orione si precipitò in aiuto dei sopravvissuti, in particolare dei tanti orfani, e rappresentò — con Annibale Maria Di Francia, significativamente canonizzati insieme — l’anima spirituale e il centro operativo della ricostruzione. Per volontà di Pio X fu nominato vicario generale della diocesi di Messina, ove rimase tre anni, compiendo «grandi cose», ma incontrando altrettanto grandi difficoltà e sofferenze. Anzitutto, il clero locale — risentito per il dinamismo orionino — gli affibbiò un epiteto ingiurioso: «Commissario del Vaticano». Ma ancor più grave fu il tentativo di avvelenarlo, corrompendo un barbiere. Era l’estate 1910 e don Orione era nel pieno della sua azione come vicario episcopale, che fra l’altro, nella ricostruzione, ostacolava i maneggi disonesti. Un giorno, dopo essersi fatto radere la barba in episcopio, don Orione avvertì piccoli tagli sulla pelle e sentì il viso di fuoco. Uscito dal barbiere, incontrando don Paolo Albera gli manifestò il timore di essere stato «infettato, avvelenato». Ben presto, sul volto gli comparvero delle pustole. Poi, anche don Albera ebbe la stessa disavventura. Non avendo confratelli a Messina, don Orione fece venire da Reggio Calabria don Felice Cribellati. Dopo qualche giorno, giunse da Tortona anche don Carlo Sterpi, suo primo collaboratore e vicario.

Comunque, l’episodio dell’infezione al viso si risolse presto e bene. Ritornato in Curia don Orione trovò pochi giorni dopo sul suo tavolo un libro di medicina dal titolo «Come si cura la sifilide». Questo elemento intimidatorio, unito al malizioso collegamento, fece sospettare il peggio, ma dal tribunale ecclesiastico — sentita la Commissione medica — risulta che, «da tutto l’insieme, si è portati ad escludere che si sia trattato di sifilide! Probabilmente si sarà trattato di una semplice infezione da germi piogeni comuni, che guariscono rapidamente in seguito a semplici cure antisettiche locali»[17]. Comunque, don Orione passò un brutto momento, e l’accaduto si riseppe nell’ambiente messinese, tanto che Annibale Di Francia, nel suo diario annotò, tra le angherie patite dal suo santo amico, anche «Il fatto della sifilide»[18].

Conclusa la tribolata ma feconda impresa siciliana, don Orione ebbe la gioia di emettere i suoi voti perpetui nelle mani di Pio X (19 aprile 1912) e di mandare i suoi primi missionari in Brasile (dicembre 1913). Ma ecco che, nel gennaio 1915, l’epopea del soccorso ai terremotati si rinnovò nella Marsica, in Abruzzo. Circa 30.000 furono le vittime, e nessuno meglio di Silone può rendere l’idea di quell’apocalisse: «Pochi giorni dopo il terremoto, con la maggior parte dei morti ancora sotto le macerie e i soccorsi che stentavano a mettersi in opera, […] una mattina gelida, vidi un piccolo prete sporco e malandato, con la barba di una decina di giorni, che si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano chiedeva se ci fosse un qualsiasi mezzo di trasporto, per portare quei ragazzi a Roma. […] In quel mentre arrivarono cinque o sei automobili. Era il Re col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una macchina i bambini da lui raccolti. Com’era prevedibile, i carabinieri vi si opposero e, poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso Sovrano. Affatto intimorito, il prete si fece avanti e, col cappello in mano, chiede al Re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli orfani alla stazione ferroviaria più prossima ancora in attività». E il Re acconsentì[19].

Don Orione, Pio X, i modernisti e altre vicende

Non meraviglia allora che don Orione, nell’immaginario generale, resti legato alle tante istituzioni di carità in favore dei più svantaggiati, e particolarmente alle meraviglie da lui operate, come «facchino della Divina Provvidenza», nei terremoti di Messina e della Marsica. E tuttavia la collana delle sue benemerenze è ricca di molte altre perle. Significativamente, da qualche tempo è venuto emergendo sempre più il rilievo sociale ed ecclesiale di don Orione, frutto delle sue relazioni con fatti, problemi e persone della scena pubblica del suo tempo, declinando la perfetta fedeltà a Roma, il dialogo con vari modernisti e, nonostante la sua ferma opposizione di fondo, anche con qualche liberal-massone[20]. Zelo che in genere don Orione incanala nella tessitura di una vasta rete di contatti, cercando anzitutto quanto unisce, prima di esasperare quanto separa[21]. Dalla pubblicazione dei carteggi, finora rimasti sepolti nell’Archivio[22], ci limitiamo ai rapporti di don Orione con Pio X.

Prendiamo le mosse da un aneddoto. Il card. Sarto aveva voluto con sé a Venezia il giovane don Lorenzo Perosi, nativo di Tortona, futuro direttore della Cappella Sistina e grande compositore, del quale il futuro Pio X apprezzava sia l’arte musicale, sia la buona compagnia, anche conviviale. Ma il padre di Perosi, maestro di cappella egli pure, nel duomo di Tortona, non gradiva le partite a tarocchi del figlio con un cardinale che tabaccava: e così si rivolse al giovane don Luigi, forse più per sfogarsi con un amico del suo Lorenzo, che pensando a un possibile suo intervento. Invece don Orione, con lo zelo tipico e anche l’ingenuità di chi non conosce che cosa sia il calcolo, scrisse una lettera al patriarca, invitandolo a non voler avviare il «maestrino» su una brutta china. Anni dopo, in occasione della prima udienza concessagli da Pio X, dal breviario del Papa fece capolino proprio quella lettera, che il Sarto aveva accolto come un monito provvidenziale. Da qui l’inizio di una benevolenza che con il tempo divenne fiducia sempre più ampia, del resto rafforzata dai buoni esiti delle missioni che don Orione riceveva dal Santo Padre. Fra l’altro ricordiamo la revisione degli statuti della Congregazione che il Papa volle curare di persona, e gli aiuti economici che continuarono persino dopo la sua morte[23].

Quanto poi ai modernisti va detto che, insieme a Pio X e alla Chiesa, fecero soffrire anche don Orione, così legato al Papa. E se umanamente è arduo stabilire i confini tra errori oggettivi e buona volontà soggettiva, da ambo le parti, è bello e consolante rilevare la carità di quanti — come don Orione — non li abbandonarono. Fu un’opera di carità grande e rara, perché chi avvicina un condannato rischia il sospetto dei «buoni». Don Orione rischiò, né l’impresa era facile perché la temperie socioculturale e politica, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, era rovente. Sul piano culturale premevano le istanze non solo illuministe, postilluministe (idealismo, positivismo, futurismo) e socialiste, ma anche — in ambito teologico — la critica biblica di scuola protestante. A tali sfide il mondo cattolico rispondeva essenzialmente barricandosi nella philosophia perennis. I modernisti colsero la necessità di superare le posizioni indifendibili, ma per tante concause non riuscirono nella sintesi che fosse insieme nuova e ortodossa.

Tuttavia quelle provocazioni non furono inutili e col tempo molte loro intuizioni furono accolte nel rinnovamento teologico novecentesco: purificate sia dagli eccessi, sia da quelle formulazioni affrettate o ingenue, che per lo più avevano reso inevitabile la reazione dell’enciclica Pascendi. Don Orione tra due fuochi, quindi: da un lato il suo zelo per le anime e, dall’altro, il suo grandissimo amore per la Chiesa e il Papa. Da qui una linea apostolica e pastorale che, senza concessioni dottrinali, era però una mano tesa a quanti erano sottoposti alla censura ecclesiastica. Fra l’altro, fu proprio Pio X a sollecitarlo in tal senso, ed egli coltivò l’amicizia con p. Semeria, Fogazzaro e la sua famiglia, e soprattutto con Buonaiuti[24]. La continuità dei rapporti con quest’ultimo dice molto su entrambi. Infatti, se si fosse trattato di una relazione meramente istituzionale, che don Orione assecondava soltanto per dovere, o che Buonaiuti cercava per calcolo, non sarebbe durata così a lungo. Viceversa, Buonaiuti avvertiva chiaramente nel sacerdote un affetto profondo e veritiero.

Qualcosa di simile troviamo anche nel caso di p. Pio da Pietrelcina. Nel decennio critico 1923-33 don Orione, non convinto delle gravi accuse che colpivano il santo cappuccino, fece il possibile per riportare chiarezza[25] e contribuire a farlo riammettere all’esercizio del ministero sacerdotale. Al di là di valutazioni di merito, colpisce il suo acuto intuito spirituale e l’ardire di «mettersi dalla parte sbagliata», come ritenevano i miopi. Né dobbiamo meravigliarci: chi intuisce la verità mezz’ora prima degli altri è uno che per mezz’ora ha torto. In breve, nel complesso scenario del Novecento italiano, don Orione si muove con destrezza e sapienza, privilegiando l’attenzione verso i più bisognosi (tanto da essere definito il gesuita dei poveri), nel senso che, invece di rivolgersi alle classi dirigenti — pensiamo all’opera dei gesuiti nei collegi dei nobili —, punta su quelle fisicamente o materialmente bisognose e su quelle più lontane spiritualmente, o brancolanti nel dubbio.

 

Spiritualità di comunione, zelo missionario, ecumenismo

Circa la spiritualità orionina, qui aggiungiamo due chiose: la familiarità soprannaturale e l’arco dello zelo per il Regno, che spazia dalle missioni all’ecumenismo, per instaurare omnia in Christo (in esplicita sintonia col programma di san Pio X)[26]. Sulla familiarità soprannaturale, è illuminante questa testimonianza del venerabile Frate Ave Maria, quando giunse alla casa-madre di Tortona. «Don Orione era partito quello stesso giorno (18 marzo 1920) per Roma, […] ma tutto ciò che trovai mi parlava dei suoi amori. Gesù sacramentato, Gesù crocifisso, […] quadri della Madonna, di san Giuseppe, san Pietro e san Paolo, san Giovanni Bosco, san Giuseppe Benedetto Cottolengo. […] Il racconto di sogni da don Orione fatti ed avverati ed altre cose straordinarie erano i discorsi che si facevano a passeggio e nei brevi intervalli di ricreazione. Tutto ciò agiva sul mio spirito come un potente fuoco di carboni su un pezzetto di legno verde che in esso è gettato, che al principio suda, fa fumo, ma alla fine si converte anch’esso in fiamma. Difatti da principio ero tentato di giudicare fanatismo tutta la venerazione di cui vedevo circondato don Orione»[27].

Frate Ave Maria non è uno sprovveduto e, avvertita la tentazione del fanatismo (cioè culto della personalità) verso don Orione, soltanto quando coglie la dialettica tra buona ammirazione umana per il Fondatore e ancor migliore occhio di fede teologale, si infiamma. Capisce il valore pedagogico delle assenze, lontananze e umiliazioni del «capo»: provocare le virtù teologali nei suoi, altrimenti la vita orionina è chiacchiera vuota e insipida, per quanto condita di applausi. Nella vita di don Orione umiliazioni e croci non mancarono[28], e proprio questa dimensione tutelò Frate Ave Maria e i primi orionini dal fanatismo verso il «capo». La familiarità soprannaturale, infatti, esige la fiducia senza riserve, leggendo gli eventi con l’occhio della fede, scorgendovi il dito divino che agisce qui e ora, anche scrivendo diritto sulle righe storte. In breve, una vita contemplativa intensa e continua, sulla quale don Orione trainò la sua «Piccola Opera». Una via che egli conosceva bene, descrivendola con precisione nelle sue note: anzitutto ineffabile dolcezza, buon odore di edificazione e poi, conseguentemente, spirituale fecondità, «copia» di tutti i doni celesti. Le prime note sono quelle che attirano verso la sequela: è quanto provocò la conversione di Pacomio, di cui don Orione parla nella lettera del 24 giugno 1922. Ma la verifica è nelle seconde, perché, senza lo spirito di edificazione — che nasce dalla stabilità nella contemplazione: virtù e stabilità nella virtù, infatti, sono livelli diversi, e il secondo grado è più alto — non si va oltre i primi entusiasmi. Ancora, effetto dell’unione prodotta dalla carità soprannaturale è «un non sospettare di nessuno, un confidare di ciascuno in tutti e di tutti in ciascuno»[29].

Il principio della forza apostolica, quindi, è l’intima unità soprannaturale[30], e la relativa preoccupazione di fare comunione. Di qui il tempo dedicato alla comunicazione spirituale — ossia alla condivisione della vita nello Spirito —, perché don Orione aveva sperimentato mille volte che la forza apostolica non sta nelle comunità disgregate. Comunità che, magari, hanno fondi e risorse in abbondanza — che mancavano invece a lui —, dimenticano che i soldi sono come i donativi di Giacobbe a Esaù: arrivano per primi, ma tendono oltre, verso un abbraccio. Se manca l’abbraccio fraterno, i soldi possono fare beneficenza e, facendoci sentire buoni, generare un pessimo narcisismo spirituale. Questa è la differenza tra la carità evangelica e la filantropia. Perciò don Orione, invece di essere un grigio burocrate che gestisce tanti soldi, mirava all’abbraccio fraterno e lo conseguiva.

Passando poi al suo instaurare omnia in Christo, che spaziava dallo zelo missionario a quello ecumenico, qui basterà notare che tutto era frutto di una particolare sua esperienza mistica della Chiesa. Quanto allo zelo missionario, già abbiamo ricordato le spedizioni orionine in Brasile (1913), poi in Palestina, Argentina e Uruguay (1921), in Polonia (1923), a Rodi (1925), negli Stati Uniti (1934), in Gran Bretagna (1935) e in Albania (1936)[31]. Ma è soprattutto la dimensione ecumenica — anticipatrice del Vaticano II — quella che più impressiona in don Orione. Per lui infatti l’unità ecumenica non è data soltanto dal sentire cum Ecclesia — obbedire a quanto insegna la Chiesa (disciplina) —, ma anche e soprattutto dal sentire Ecclesiam, cioè sentirsi Chiesa: reciprocità delle membra nel corpo mistico di Cristo (appartenenza). Certo, egli sapeva spiegare anche le ragioni della sua fede nella Chiesa, ma la sua principale caratteristica fu quella di rendere presente alla gente che incontrava — specialmente a quanti erano in crisi di rigetto — la maternità della Chiesa, proprio attraverso le opere della carità e il dialogo teso alla riconciliazione.

La famiglia orionina, secondo il Fondatore, deve «vivere e sacrificarsi per tutti i poveri di ogni età, di ogni nazione e religione, senza eccezione, sani o malati. Suo fine particolare è di tenere uniti i piccoli e gli umili lavoratori e operai e fortemente attaccati alla Chiesa madre e al Papa». Infine, una parola sulla concezione orionina di «unità vitale». Di fatto, è innegabile che, tra le vie che oggi la Chiesa sta percorrendo e additando all’umanità, spicca certamente quella dell’unità, secondo i cerchi concentrici dell’Ecclesiam suam di Paolo VI: unità al suo interno, poi nei confronti delle altre confessioni cristiane, quindi in dialogo con le altre religioni e infine con tutti gli uomini di retto sentire e buona volontà. La Chiesa infatti non è una realtà ripiegata su se stessa, bensì permanentemente inviata nel mondo per annunciare il mistero di unità che vive.

È quanto don Orione espresse, con tono profetico, in questa pagina: «Verrà giorno in cui l’umanità tutta andrà portata, irresistibilmente, ai piedi di Gesù Cristo, intorno a cui solo sentirà di poter ritrovare quell’unità morale che sì ansiosamente va cercando! Verrà il giorno in cui le nazioni, strette attorno a Cristo, si sentiranno sorelle! Dalla Pentecoste in poi le nazioni divise tendono verso l’unità, e vi giungeranno; ma pel Signore e Dio nostro Gesù Cristo. Cristo avanza! Chi è che non veda come si vada preparando il terreno al più grande trionfo di Cristo, all’unificazione cioè spirituale di tutto il mondo sotto la Croce? Quest’opera non poteva compiersi in un giorno, doveva essere l’opera dei secoli, doveva essere il cammino perenne della Chiesa, la quale risplende e vive della vita del suo Cristo, affinché tutto l’universo sia un solo ovile, sotto la guida di un solo Pastore: Cristo nel suo Vicario, il Papa»[32].

 

La Civiltà Cattolica 2004 III 116-129 quaderno 3698



[1] Canonizzato il 16 maggio scorso, insieme al siciliano Annibale Maria Di Francia († 1927), fondatore dei rogazionisti; allo spagnolo Josep Manyanet y Vives († 1901), fondatore dei figli e delle figlie della Sacra Famiglia; al monaco, presbitero, maronita libanese Nimatullah Kassab Al-Hardini († 1858); alla bergamasca Paola Elisabetta Cerioli († 1865), fondatrice delle suore della Sacra Famiglia di Bergamo; e all’eroica madre di famiglia Gianna Beretta Molla († 1962).

[2] In Oss. Rom., 17-18 maggio 2004, 1.

[3] Cfr G. CASOLI, L’incontro di due uomini liberi. Don Orione e Silone, Milano, Jaca Book, 2000, 128, nota 8.

[4] D. HYDE, Il bandito di Dio. Storia di don Orione padre dei poveri, Bari, Ed. Paoline, 1960. Sir William Beveridge è il noto economista e uomo politico inglese che varò il piano di assistenza sanitaria obbligatoria e garantita per tutti (disabili, anziani ecc.).

[5] Per una esauriente conoscenza biografica cfr G. PAPÀSOGLI, Vita di Don Orione, Milano, Gribaudi, 20045 e D. SPARPAGLIONE, Il Beato Luigi Orione, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 200410, mentre per una rassegna bibliografica sistematica cfr A. BELANO, Bibliografia orionina. Il Beato don Luigi Orione: la sua vita, i suoi scritti, il suo messaggio, Roma, Piccola Opera della Divina Provvidenza, 1997.

[6] Di quell’instancabile laboriosità don Orione ricorderà spesso che la madre alle tre di mattina era già a spigolare nei campi e, in casa, «pareva un fuso che andasse, sempre s’industriava, faceva da donna e, con noi figli, anche da uomo, perché nostro padre era lontano, a lavorare nel Monferrato. Batteva lei il falcetto per fare l’erba, senza portarlo all’arrotino; faceva la tela con canapa filata da lei […]. Mia madre, anche quando io e i miei fratelli eravamo grandi, ci fissava il posto in chiesa e voleva sentire anche la nostra voce a pregare. […] In casa ci faceva dire le preghiere seduti solo quando eravamo malati. […] Quando è morta, le abbiamo messo il suo vestito da sposa, dopo 51 anni che era sposata. Se l’era fatto tingere in nero [quando rimase vedova] e faceva ancora la sua bella figura. Vedete, cari figli miei, come facevano i nostri santi e amati vecchi?» (Scritti di Don Orione, vol. 3, Tortona [AL], Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, s. d., 111).

[7] Don Orione stesso raccontò più volte quella confessione. Per essere sicuro di farla bene, aveva consultato i formulari per l’esame di coscienza, riempiendo vari quaderni. «Con una mano nella tasca dei quaderni e l’altra al petto, aspettavo in ginocchio, tremando, il mio turno. “Che cosa dirà don Bosco quando gli leggerò tutta questa roba?”. Venne il mio turno; lui li guardò un istante e, senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse: “Dammi questi tuoi peccati”. Gli allungai un quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della tasca. Lo prese e, senza neppure aprirlo, lo lacerò. “Dammi gli altri”. Subirono la stessa sorte. “E ora — concluse — la tua confessione è fatta; non pensare mai più quanto hai scritto e non voltarti più indietro a contemplare il passato”. E mi sorrise, come solo lui sapeva sorridere» (G. PAPÀSOGLI, Vita di Don Orione, cit., 28).

[8] Don Orione lo ammette candidamente: «Io, da giovane, ero anche un po’ politico». Per difendere il Papa, attaccato dai liberal-massoni, aveva fatto un discorso nel quale «citai Vittorio Emanuele II e dissi ciò che non era prudente dire. Fatto sta che sguinzagliarono alle mie calcagna i poliziotti» (Parola di Don Orione, vol. Vb, Tortona [AL], Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, s.d., 86).

[9] Ecco come andarono le cose. Incontrato un amico, che gli aveva detto che suo padre affittava una casa per 400 lire l’anno, Orione l’aveva «fermata subito», tempo una settimana per pagare. Sulla via del ritorno aveva incontrato un’anziana signora sua conoscente, avevano parlato del più e del meno. Era venuta fuori l’idea del collegio, e quella: «Un collegio? Ci metto mio nipote! Quant’è la retta?». E Luigi: «Poco. Quello che mi date». «Se vi do 400 lire (tutti i suoi risparmi), quanto tempo me lo tenete?». «Per tutto il ginnasio!», aveva esclamato Orione, sobbalzando di gioia a quell’evidente segno della Provvidenza (cfr Parola di Don Orione, vol. III, cit., 178).

[10] Nel 1896 a Mornico Losana (PV), nel 1898 a Noto in Sicilia, nel 1899 a San Remo, cui fecero seguito le colonie agricole di Bagnorea (VT), «San Giuseppe», e di Roma, «Santa Maria».

[11] Confortato dal consiglio di Leone XIII, don Orione — con profetica anticipazione — pose, nelle prime Costituzioni del 1904, tra gli scopi della nuova Congregazione, anche quello di lavorare per «ottenere l’unione delle Chiese separate». Cfr F. PELOSO, «L’altissimo consiglio di Leone XIII», in ID., Don Orione, un vero spirito ecumenico, Roma, Ed. Dehoniane, 1997, 35-41.

[12] Confortato dal consiglio di Leone XIII, don Orione — con profetica anticipazione — pose, nelle prime Costituzioni del 1904, tra gli scopi della nuova Congregazione, anche quello di lavorare per «ottenere l’unione delle Chiese separate». Cfr F. PELOSO, «L’altissimo consiglio di Leone XIII», in ID., Don Orione, un vero spirito ecumenico, Roma, Ed. Dehoniane, 1997, 35-41.

[13] Cfr Don Orione negli anni del modernismo, Milano, Jaca Book, 2002.

[14] Cfr F. PELOSO, «Don Orione e la Conciliazione del 1929», in Messaggi di Don Orione 34 (2002) n. 107, 27-45.

[15] Cfr V. ALESIANI, «Buon samaritano dei sacerdoti in difficoltà», ivi, 33 (2001) n. 105, 37-64.

[16] La sua salma, contesa dalla devozione dei tanti devoti, ricevette solenni onoranze a San Remo, Genova, Milano, terminando l’itinerario a Tortona, dove fu tumulata nella cripta del santuario della Madonna della Guardia.

[17] Positio, 1.261 s. Quanto al barbiere, qualificato come «un buon cristiano» da molti testimoni, compreso Annibale Di Francia, si pensa a mera trascuratezza, benché don Orione abbia riferito che, «poenitentia ductus, venne il barbiere a portarmi il pretium sanguinis e a chiedermi scusa».

[18] Per una ricostruzione dei fatti cfr F. PELOSO, «Luigi Orione e Annibale Di Francia: uniti dal terremoto e dalla santità», in Messaggi di Don Orione 37 (2004) n. 113, 3-38; mentre sulle affinità e sulle collaborazioni tra i due Santi cfr 30 giorni, aprile 2004, 50-68 e Vita Pastorale, maggio 2004, 32-35.

[19] I. SILONE, Uscita di sicurezza, in G. CASOLI, L’incontro di due uomini liberi…, cit., 78 s. Cfr anche la testimonianza di Silone, al processo di beatificazione. Mesi dopo il terremoto, reincontrò don Orione alla stazione centrale di Roma: lo accoglieva in uno dei suoi collegi. Portandogli le valigie, gli confessò: «La mia vocazione — è un segreto che voglio rivelarti — sarebbe poter vivere come un autentico asino di Dio, come un autentico asino della Divina Provvidenza». Silone ricorda: «Così ebbe inizio tra noi un dialogo che, salvo qualche breve pausa, durò l’intera notte. Don Orione, benché prima di allora non ci fossimo mai incontrati, parlava con me ragazzetto con una semplicità e naturalezza, con una confidenza, di cui non avevo ancora conosciuto l’eguale. […] Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo; provavo una pace e una serenità nuova. Ciò che mi è rimasto impresso è la pacata tenerezza del suo sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà di chi nella vita ha pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò sa le pene più segrete. […] A un certo punto del viaggio mi disse: “Ricordati di questo: Dio non è solo in chiesa. Nell’avvenire non ti mancheranno momenti di cupa disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Ricordati di questo!”. Mi accorsi che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non mi era mai capitato d’incontrare una persona adulta che si aprisse così sinceramente con un ragazzo» (30 giorni, aprile 2004, 69 s).

[20] Cfr F. PELOSO (ed.), Don Orione e il Novecento, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2003, 11; e sul caso del Primo Ministro A. Fortis, che don Orione raggiunse in punto di morte — vestito da infermiere, per eludere la sorveglianza dei frammassoni —, amministrandogli i sacramenti: cfr ID., «Sacramenti “in articulo mortis” ad Alessandro Fortis», in Messaggi di Don Orione 34 (2002) n. 109, 77-87.

[21] Ecco qualche nome in ordine sparso: da una parte Pio X, Luigi Guanella, Annibale Di Francia, Merry del Val, Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Scalabrini, Clemente Rebora, Giovanni Calabria, Pio da Pietrelcina, Francesco Olgiati, Armida Barelli, Carlo Gnocchi, Eugenio Pacelli, Angelo Roncalli, Giovanni Battista Montini; dall’altra il gruppo dei modernisti, la cui frequentazione gli procurerà qualche guaio e sospetto anche nella Curia Romana: Tommaso Gallarati Scotti, Romolo Murri, Antonio Fogazzaro, Giovanni Semeria, Ernesto Buonaiuti. Neppure mancano relazioni con donne eminenti, tra cui Ada Negri, la contessa Gabriella Spalletti Rasponi, la contessina Cadorna, Adele Costa Gnocchi, Teresa Michel Grillo, Valeria Pignetti — fondatrice dell’Eremo di Campello e amica di Buonaiuti — e tante altre.

[22] Cfr anche La figura e l’opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell’incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990, Milano, Vita e Pensiero, 1994; Don Orione negli anni del Modernismo, Milano, Jaca Book, 2002; San Luigi Orione. Da Tortona al mondo: 1903-2003, Milano, Vita e Pensiero, 2004. Strumento di studio e divulgazione è anche la rivista di storia e spiritualità Messaggi di Don Orione (via Etruria 6, Roma).

[23] Pochi giorni dopo la morte, sul tavolo del Papa fu trovata una busta, con una pingue somma, destinata a don Orione per le necessità della nuova parrocchia di Tutti i Santi, che la Congregazione aveva avuto l’incarico di impiantare «nella Patagonia romana», come era detta allora quella zona di estrema periferia.

[24] Cfr F. PELOSO, «Don Orione e Buonaiuti. Un’amicizia discreta», in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, gennaio-giugno 2002, 121-147.

[25] 25 Sulla vicenda cfr F. PELOSO, Don Luigi Orione e Padre Pio da Pietrelcina nel decennio della tormenta: 1923-1933, Milano, Jaca Book, 1999.

[26] Per gli approfondimenti cfr Don Orione. Lettere, 2 voll., Roma, Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, 1969; Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine di Don Orione, Casale Monferrato (AL), Piemme, 2004; San Luigi Orione. Meditazioni sul Vangelo, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2004; F. PELOSO, Don Orione. Intervista verità, ivi, 20042; e tre raccolte divulgative di scritti curate da V. ALESIANI: Da vero amico. Lettere di Don Orione ai laici; Sole o tempesta? Lettere di Don Orione ai giovani; Seminare Gesù Cristo. Lettere di Don Orione ai preti, Milano, Gribaudi, 2004.

[27] Sui passi di don Orione, cit., 7.

[28] Come ha ricordato Giovanni Paolo II, nell’omelia di canonizzazione: «Sofferenze fisiche e morali, fatiche, difficoltà, incomprensioni e ostacoli di ogni tipo hanno segnato il suo ministero apostolico. “Cristo, la Chiesa, le anime — egli diceva — si amano e si servono in croce e crocifissi o non si amano e non si servono affatto”» (Oss. Rom., 17-18 maggio 2004, 1).

[29] Sui passi di Don Orione, cit., 304.

[30] Era talmente radicata in san Luigi Orione questa ricerca dell’unità concreta nella Chiesa e con i suoi pastori che, talvolta, rinunciò ai propri diritti o a possibili progetti di bene piuttosto che incrinarla anche solo indirettamente. È il caso, per esempio, di quanto avvenne a Lonigo (Vicenza), dove il nuovo arciprete, pur apprezzando l’opera degli orionini in favore della gioventù, manifestò la volontà di dare un diverso indirizzo all’oratorio. Per un po’ don Orione resistette e difese i propri diritti, ma poi preferì il ritiro piuttosto che affermarli a discapito della comunione. Cfr F. PELOSO, San Luigi Orione «per la cara gioventù di Lonigo», Vicenza, ISG, 2004.

[31] Don Orione stesso fu missionario in America Latina nel 1921-22 e nel 1934-37, e riservò uno sguardo particolare alle fondazioni in Polonia (cfr Oss. Rom., 20 maggio 2004, 9). Oggi i suoi discepoli — 1.100 religiosi, 900 religiose e 170 laici consacrati nell’Istituto Secolare Orionino — sono presenti in 32 nazioni.

[32] Lettera del 30 marzo 1918, in Sui passi di Don Orione, cit., 231.

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