Segretariato della Parrocchie – Provincia Santi Apostoli
Mi sia permesso iniziare questo intervento riportando il racconto di uno scrittore brasiliano. Premetto che si tratta di un racconto allegorico che servirà per introdurre il tema ma il cui significato si potrà cogliere – così spero - soltanto alla conclusione.
“Sono intento – e qui comincia il racconto di Rubem Alves - ad osservare dalla mia seggiola un ragno che ha fatto la ragnatela in un angolo in alto delle pareti del mio studio. Era lì già ieri e me ne ero sbarazzato con una scopa. Ragni e ragnatele sono segno di trascuratezza e non volevo che la sua fastidiosa presenza infastidisse i miei visitatori. Ma è ritornato e ha ricostruito la sua dimora nello stesso punto. Credo che mi abbia perdonato; forse spera che io lo possa capire in futuro...
Capisco. E ho deciso di condividere il mio spazio con lui. Quel ragno indubbiamente mi affascina.
Primo per ciò che vedo:
È lì, sicuro e felice, troneggia sul vuoto. Non vi è esitazione nei suoi passi. Le sue gambe si muovono con tranquilla precisione sugli esili fili della ragnatela, come se fossero le dita di un violinista che danzano sulle corde. La sua tela: una ‘struttura così fragile', una trama finissima pressoché trasparente…. e tuttavia così perfetta, simmetrica, bella, adatta allo scopo.
Secondariamente, per ciò che non ho visto o non vedo :
Non ho visto la sua prima mossa, la mossa da cui ebbe inizio la ragnatela, il salto nel vuoto... M'immagino quella minuscola, quasi invisibile creatura, appesa al muro da sola. Vede le altre pareti, lontane, e ne misura la distanza: uno spazio vuoto. E vi è un unica cosa su cui può contare per l'incredibile opera a cui sta per accingersi a lavorare: un filo, ancora nascosto all'interno del suo corpo. Poi, d'improvviso, un salto nel vuoto e l'universo del ragno ha avuto inizio...
Il ragno:
una metafora di me stesso; anch'io desidero tessere una tela sul vuoto. Ma il mio mondo non è composto da nulla di materiale. È fatto di una sostanza più eterea di un filo finissimo, così eterea che alcuni l'hanno paragonata al vento: parole. La realtà umana è fatta di parole.” (Parole da mangiare, p.11)
Finito il racconto mi metto a rispondere, pur riconoscendo la mia poca competenza in materia, quanto mi è stato chiesto: “ La parrocchia è un'opera?”
Diceva il racconto che la realtà umana è fatta di “parole”. Quindi, prima bisognerebbe precisare e precisarsi il concetto delle parole “opera” e “parrocchia”. È a partire dall'orizzonte di significato che ognuno ha è che si potrà formulare i concetti e rispondere adeguatamente alla domanda in questione.
Per non complicare troppo il discorso, ma anche per camminare sul sicuro, prendiamo la definizione che il Codice di Diritto Canonico ci offre di parrocchia. Siamo ai canoni 515 e seguenti: “ La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore ” (Can. 515 - §1). “ Come regola generale – siamo ora al Canone 518 - la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio .”
La parrocchia è quindi una figura storica della presenza della Chiesa, un modo con il quale la Chiesa si rende presente in un determinato territorio e nella vita delle persone. È retta e animata dal parroco che coordina tutte le attività parrocchiali secondo le direttive dell'Ordinario diocesano, al quale risponde personalmente. Per quanto riguarda la nostra condizione di religiosi, titolare della conduzione di una parrocchia è la comunità religiosa nella persona del parroco che la gestisce con modalità e competenze che vanno individuate e coniugate seguendo il doppio riferimento della diocesi e della comunità religiosa.
Importante qui è sottolineare che la parrocchia viene definita essenzialmente come una “comunità di fedeli” determinata normalmente secondo il criterio del territorio, come una porzione della Chiesa particolare. È una “comunità” che annuncia e celebra, una comunità di fedeli responsabili, una comunità di missione!
Poi bisogna precisare e soprattutto precisare a se stessi il concetto che ciascuno ha di “opera”. Per ciascuno di noi questa parola evoca qualcosa quando viene sentita, pronunciata o utilizzata: magari evoca una scuola, un cottolengo, o forse perfino una parrocchia.
Generalmente, noi leghiamo l'idea di opera ad un luogo fisico ben determinato, delimitata da un cancello, dove c'è una porta per la quale si può entrare e uscire, dove ci sono i vari reparti e anche un servizio specifico. Dire che la parrocchia è un'opera nel senso specifico del termine che noi normalmente attribuiamo ad una istituzione assistenziale, di beneficenza, come una realtà chiusa, in totale responsabilità diretta di una comunità religiosa, non è molto appropriato.
Però, da un'altra parte, è un “opera” nel senso comune della parola in quanto è affidata ad una comunità, ci sono le persone che dedicano il suo tempo e le sue capacità, è gestita con una corresponsabilità comunitaria, anche se entra in gioco con un altro principio di autorità, il Vescovo e le strutture diocesane.
Una attenta lettura del testo del Capitolo – siamo alla pagina 75 del Documento del XII Capitolo Generale -, osservando l'orientamento di numero 6, si ha l'impressione che il testo consideri la parrocchia come un'opera quando chiede di “salvaguardare la fedeltà ai momenti di vita comune” anche “nelle parrocchie ed in altre opere”.
Comunque, meglio non complicare troppo le cose e considerare la parrocchia come un “opera” sui generis , nel senso che non è legata strettamente a un luogo fisico. Con le parole del Capitolo, meglio ritenerla “ Uno dei luoghi privilegiati per la missione... dove si esprime un maggiore coinvolgimento dei fedeli laici, mediante i ministeri pastorali, le piccole comunità di base e l'azione dei movimenti ecclesiali”. Per la nostra Congregazione “Stanno diventando sempre più base per interventi caritativi immediati e snelli e non istituzionalizzati ”, aiutando a promuovere il passaggio fondamentale dall'opere di carità alla carità delle opere.
Come deve essere il consiglio d'opera di una parrocchia?
Spiegando come deve essere un consiglio d'opera in un'opera si è ricorso tante volte all'esempio del consiglio pastorale della parrocchia. Di conseguenza, qui si potrebbe tagliar corto e dire che il consiglio d'opera di una parrocchia è il consiglio pastorale. Cioè, quell'organismo ordinario di programmazione e di coordinamento di tutta l'azione pastorale della parrocchia, in ordine all'evangelizzazione, alla santificazione e alla carità della comunità e dei singoli battezzati.
Di fatto, il consiglio pastorale è un organo strutturato, con un presidente, un responsabile centrale che è il parroco, ci sono i rappresentanti delle varie attività parrocchiali e si mette insieme sia l'obiettivo formativo, la missione, ma anche le dinamiche della missione, i mezzi con cui si realizza la missione. È proprio del consiglio pastorale unire, coniugare: unire i membri, le dinamiche e le finalità. E questo è lo scopo anche di un consiglio d'opera in un cottolengo o in una scuola. Riunire in modo organico, strutturato, i responsabili primi, i capi, che sono quelle delle comunità, con quelle figure che hanno una particolare rilevanza nel condurre e nel promuovere la missione di un'opera.
Quindi c'è uno stretto parallelo tra il consiglio d'opera e il consiglio pastorale ma credo che non sia da inventare, e forse non si è mai pensato di inventare, un consiglio d'opera affianco del consiglio pastorale.
Diversa cosa è se dentro la parrocchia esiste un'iniziativa caritativa o un'attività particolare. Per esempio, nella parrocchia di Messina ma anche in quella di Ogni Santi esiste una struttura per l'accoglienza degli emigrati. In questi casi si potrebbe pensare ad un mini-consiglio d'opera per quelle realtà. O facciamo un esempio più comune: nella parrocchia c'è un oratorio, nel modo tradizionale, con i suoi responsabili, animatori, esiste perfino un bar. È una attività particolare dentro la parrocchia. Quanto sarebbe buono ed efficace che in questa attività dell'oratorio non si dica solo che lì c'è un incaricato che fa riferimento al parroco ma c'è un piccolo consiglio che raduna i due o tre responsabili, il sacerdote che coordina, l'incaricato del bar, radunare insieme quelle figure che in pratica hanno la responsabilità morale e anche istituzionale per l'oratorio e quegli che lo gestiscono di fatto.
Importante è ricordare che l'obiettivo tanto del consiglio pastorale in una parrocchia quanto del consiglio d'opera è quello di favorire la sinergia delle diverse dinamiche, dei diversi attori di una parrocchia o di un opera, e curare questa comunione per raggiungere gli obiettivi pastorali e carismatici.
Questo eviterebbe delle situazione di mancanza di comunione e di unità. A volte capita – ma questa è una situazione che vogliamo sempre meno nelle nostre parrocchie – che esista un gruppo per la catechesi, un gruppo di volontariato, e forse anche un gruppo di giovani, ma ognuno aveva delle dinamiche proprie e magari si perdeva non solo la comunione ma anche la concentrazione sull'obiettivo comune di una parrocchia o della pastorale parrocchiale.
Delle volte capita questo anche in un opera: c'è il prete o forse anche una comunità religiosa che dovrebbe assicurare il carisma, ma le attività vanno per conto loro in una prospettiva solo amministrativa. Ecco lo scopo del Consiglio d'opera e del Consiglio Pastorale: mettere insieme i vari protagonisti, sistemare un “canale” di trasmissione tra la finalità e coloro che possano strutturare i servizi e le varie attività in una parrocchia e in un opera.
Un altro tema è il rapporto tra Consiglio Pastorale e Consiglio d'Opera di altre attività. Il Capitolo dice esplicitamente che ogni opera, ogni attività che abbia una sua dinamica particolare, deve avere il suo consiglio d'opera. E poi dove ci sono più opera e più attività ci sia un coordinamento pastorale delle opere. La comunità qui di Monte Mario ci serve come esempio: c'è un Consiglio d'Opera per ogni attività, o almeno per le principali attività (ci sono tante qui), è bene che almeno un paio di volta all'anno si ritrovino insieme e si faccia una programmazione comune, un calendario comune, è bene che si parli sulle dinamiche per una collaborazione più efficace tra di loro, in vista della dimensione carismatica.
Infine, è bene sottolineare quanto è importante che il parroco, ma non solo lui, anche un laico impegnato nella parrocchia, sia presente nel consiglio d'opera di un'attività. Questo perché in genere quegli che vengono dalla parrocchia portano con sé soprattutto l'ansia apostolica, l'ansia pastorale. Per lui viene quasi spontaneo in un Consiglio d'opera chiamare l'attenzione sugli aspetti pastorali, di catechesi. È questo intreccio che alla fine dà vita e senso alle nostre attività.
Possiamo tornare al racconto allegorico della ragnatela. Il Consiglio d'opera e il Consiglio pastorale: come la tela di un ragno.
“ Ma il ragno è più fortunato di noi: possiede già la ricetta per questo mirabile evento: gli è stata donata dalla nascita. Il suo corpo sa, il suo corpo ricorda.” Noi invece l'abbiamo dimenticato. Abbiamo dimenticato che il segreto che dà senso al nostro vivere e al nostro operare carismatico è nascosto nella capacità di unire i punti estremi, di stabilire rapporti di dialogo e di collaborazione.
Sa bene il ragno che comunione e ragnatele non si possono tessere nel vuoto. Necessitano di supporti. I fili, per quanto leggeri e sottili, devono essere fissati a elementi solidi: alberi, pareti, travi. Se ne venissero recise le legature, il ragno verrebbe soffiato via dal vento e rimarrebbe senza dimora. Ora sappiamo bene pure noi. Lo stesso vale anche per la realtà dei nostri Consigli d'opera o pastorale. Se i fili delle nostre attività, dei “servizi” che prestiamo, non si collegano alla base solida di un organismo di comunione e di partecipazione perdono il significato, il senso carismatico. Come per la ragnatela, se se ne recidono le legature, si può morire e quindi continuare a mantenere quelle fratture tra “spiritualità” e “servizio”, tra “servizio” e “apostolato”.
I Consigli servono soprattutto per rinsaldare i legami. È questione di vita o di morte del nostro essere orionino nel mondo.
Roma 28/02/2008
Don Tarcisio Vieira
Consigliere Generale |