Come l’oro si prova col fuoco e l’amore coi fatti, così la fede si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali; si prova nei cimenti e combattimenti esterni.
Giovedì, 30 Marzo 2023
31 Dicembre 2008
Stasera dormirò coi morti - terremoto di Reggio-Messina

“STASERA DORMIRÒ COI MORTI”

La ricostruzione del viaggio di Don Orione da Tortona a Reggio Calabria
e dei primi soccorsi dopo la catastrofe del terremoto

Il prossimo 28 dicembre si celebrerà il primo centenario del terremoto che distrusse le città di Reggio Calabria e di Messina. In quella occasione la capacità organizzativa dello Stato italiano, che aveva trovato la sua unità da pochi decenni, venne messa a dura prova dalle disastrose conseguenze di sofferenza e di morte del cataclisma. Ma, nello stesso tempo, la macchina dei soccorsi trovò validi collaboratori sia tra le fila dei civili come degli ecclesiastici. Tra questi ultimi è da annoverare san Luigi Orione, vero eroe di carità cristiana. Negli anni dal 1908 al 1912, le due città terremotate assistettero alla sua prima grande rivelazione pubblica, con la manifestazione della sua multiforme carità. Questa rivelazione di sé, Don Orione la diede luminosamente, “ non nella confusione, bensì in una distinzione amorevole, in un calore di amore e di fervida coscienza ”, come testimoniò il duca Tommaso Gallarati Scotti.

Don Orione diverrà da allora il padre dei terremotati, non solo nel senso letterale, ma anche traslato e metaforico del termine, perché sarà padre dei terremotati della vita, dei poveri, dei malati, degli orfani. Il 1908, dopo momenti dolorosi come la morte del discepolo don Gaspare Goggi e della madre Carolina Feltri, fu l'anno del cambiamento, in cui il Santo della carità lasciò Tortona per ampliare il suo campo d'azione. La permanenza di tre anni in Sicilia come Vicario generale di Messina segnò anche il decollo nazionale di Don Orione che da quella data in poi non sarà più solo e principalmente tortonese.

In questo centenario, molti ricorderanno quel tragico 28 dicembre per far emergere tra l'oscurità del male la luce della carità perché, come scrisse Seneca, “ ciò che fu atroce a sopportare, può essere sublime a ricordare ”.

* * *

Domenica 27 dicembre 1908, sul giornale umoristico di Messina, Il Telefono , si poteva leggere una sacrilega parodia della novena di Natale con una delirante invocazione a Gesù Bambino, rimasta tristemente famosa: “ O Bambinello mio, vero uomo e vero Dio, per amor della tua croce, fa sentir la nostra voce: Tu che sai, che non sei ignoto, manda a tutti un terremoto ”.

Ore 5, 20 circa del giorno seguente: una scossa di terremoto – di soli 30 secondi, ma del 10° grado della Scala Mercalli – e un maremoto, con onde che raggiunsero i 10 metri di altezza, travolsero Messina e l'antistante costa calabra. I morti furono circa 80.000, il 91% degli edifici venne raso al suolo o reso instabile.

Don Orione apprese la notizia il 29 dicembre dai giornali che parlavano di distruzioni anche a Noto presso Siracusa dove la Congregazione aveva già una colonia agricola. Scosso dalle notizie, anche se frammentarie, decise di intervenire. Si recò dal vescovo di Tortona il 2 gennaio 1909 per chiedere di potersi recare sui luoghi della sciagura a portarvi il suo aiuto. Per le spese di viaggiò non esitò a vendere un paio di buoi e il 4 gennaio, con la corsa delle 9,18, lasciò Tortona in compagnia di un sacerdote della diocesi, più anziano, don Carlo Pasquali e nella tarda serata fece una tappa a Roma, dove si fermò anche parte del giorno successivo, molto probabilmente per un salto in Vaticano, onde avere indicazioni e ricevere disposizioni. Ripartì in giornata e la mattina seguente – Epifania del 1909 – raggiunse la Calabria. Mentre don Pasquali proseguì lungo la costa tirrenica per raggiungere mons. Morabito, vescovo di Mileto, egli passò sull'altro versante dell'Appennino calabro, puntando su Cassano Jonio per predisporre con il vescovo mons. La Fontaine l'accoglienza dei primi orfani.

Presi gli accordi con il vescovo, ripartì alla sera con il treno che aveva ancora qualche sobbalzo per le scosse di terremoto. La mattina del 7 era a Catanzaro Marina, da dove spedì il primo scritto per Tortona: “ Caro Sterpi, sono a Catanzaro Marina. Stanotte due scosse di terremoto. Stabilito apertura Colonia Agricola con mons. La Fontane. Sono diviso da don Pasquali. Vado Reggio. Pregate e fate pregare giovani ”.

Purtroppo la precarietà dei mezzi di trasporto frenò la marcia. Mentre aveva scritto “vado Reggio” nell'evidente previsione di raggiungere presto quella città, dopo una sessantina di chilometri il treno si fermò a Roccella Jonica. Ne approfittò per scrivere un secondo biglietto, questa volta indirizzato a don Giuseppe Ravazzano: “… Sono a poca distanza da Reggio. Stasera dormirò coi morti… Scrivo da una rovina. Avrò da farmi quattro ore a piedi. Stanotte due belle scosse che il treno saltava ”.

Ma, di nuovo, nonostante la speranza di essere presto a Reggio nel cuore della tragedia, dopo una settantina di chilometri, il treno si fermò a Bova e il viaggio venne nuovamente interrotto. Questa volta, però, la sosta fu provvidenziale. Per Don Orione fu una breve parentesi di serenità nel concitato peregrinare di quei giorni. Cercata ospitalità presso il seminario locale, vi trovò i Salesiani e fra essi un suo antico insegnante all'Oratorio di Valdocco di Torino. Gli ultimi 45 chilometri , da Bova a Reggio, presentarono le maggiori difficoltà, se a coprirli occorsero un giorno e una notte.

Nel Capoluogo calabro Don Orione arrivò solo il 9 mattina. Raggiunse subito l'unico centro organizzato della città, la scuderia del palazzo arcivescovile, dove il Vicario Capitolare, mons. Dattola, aveva organizzato un'infermeria. Già durante quella prima giornata di permanenza a Reggio, Don Orione seguì il suo solito ritmo di attività, prendendo una sommaria visione della situazione. La città che prima del terremoto aveva circa 45.000 abitanti, ora ne contava un terzo di meno ed era pressata da mille urgenti necessità. Per questo senza troppi indugi Don Orione pensò di condurre a Don Pasquali gli orfanelli che aveva raccolto, mentre lui sarebbe tornato a prestare la sua opera sul luogo del disastro. Così, la sera del 9 gennaio, lo stesso giorno in cui era arrivato a Reggio, ripartì con gli orfani per Gioia Tauro, presso Mileto, dove vi era la ferrovia ancora funzionante. La cittadina, seguendo la costa tirrenica, dista da Reggio solo 51 chilometri . Ma siccome da quella parte la linea ferroviaria era interrotta e i bambini che portava con sé non avrebbero potuto affrontare complicati trasbordi o fare lunghi percorsi a piedi, risalì la costa jonica e fece 320 chilometri impiegandovi una notte e un giorno. Arrivò, infatti, a Gioia Tauro alle 18,00 del 10 gennaio. Alle 20,30 era di nuovo in treno per ripetere i 320 chilometri in senso inverso.

Il 12 e il 13 si fermò a Reggio che aveva fissato come base operativa. Il 14 era a Messina per conferire con il geometra Mazza di Rivanazzano (PV) e di lì fece un salto a Noto per visitare i suoi religiosi e per prendere un giovane come assistente degli orfanelli di Cassano Jonio. Il 17 era nuovamente in Calabria, come si rileva da un biglietto indirizzato a Don Sterpi in tale data: “ Sono stato a Noto e porto con me un giovane di quella Colonia che farà da assistente a Cassano. Stasera sarò a Gioia Tauro da mons. Morabito. Fate pregare. Presto vengo; io sto bene; a Noto tutto bene ”. Il giorno dopo, 18 gennaio 1909, con la partenza di Don Pasquali e degli orfanelli per Cassano, venne fissata la prima tenda orionina in Calabria.

* * *

Nelle settimane successive Don Orione venne dirottato a svolgere la sua attività benefica a Messina dove il movimento di assistenza degli orfani coordinato da mons. Cottafavi per la Santa Sede e dalla Contessa Spalletti per il Patronato Regina Elena, finì per gravare in buona parte sulle sue spalle. Salì a bordo della nave Cataluña , inviata da un marchese spagnolo, per raccogliere gli orfani nei porti ancora accessibili. Il 30 gennaio gli vennero affidati per decisione del prefetto gli orfani di Messina che Don Orione suddivise fra le case di Cassano e di Noto; sentì il dovere di farsi papà e mamma per tutti quei piccoli, pur non avendo sempre i mezzi necessari per aiutarli, come avrebbero avuto bisogno. Scelse allora i più sfortunati fra loro: “ Ricevo sempre quando le altre porte sono chiuse, o che si tratti di casi urgenti ”. Don Orione riuscì, secondo quel che scrisse al prof. Giuseppe Fornari, incaricato governativo per gli orfani, a sistemare quattrocento bambini a carico della Santa Sede, la quale li assistette per dieci anni; oltre seicento in istituti vari a spese del Patronato, cioè del Comitato statale, a retta piena o di favore; altri seicento in istituti di fiducia che li accolsero gratuitamente. Le case della Congregazione accolsero orfani a Tortona, Sanremo, Cuneo, Bra, Roma, oltre che a Noto e a Cassano.

Uno stralcio dell' Avvenire d'Italia del 1 febbraio 1909 a firma di Francesco Zannetti ci apre uno squarcio sullo sfruttamento della sofferenza dei più innocenti: gli orfani. “ Mentre a protestanti gli orfanelli si affidavano con facilità, a Mons. Cottafavi si opponevano difficoltà molte e grandi: sulla natura di queste difficoltà e sul nome di colui che dovrà accogliere gli orfani, vi furono trattative da Roma... So per altro che fu opera e merito di Don Orione e di don Zumbo se dei sessanta orfanelli affidati ai protestanti alcuni poterono essere tolti agli eretici. Ma dovettero quegli egregi sacerdoti pagare al comitato ben 15 lire per ogni orfanello… Quanto sia grande lo sfruttamento massonico e anticattolico della sventura, lo prova il fatto che le regioni colpite sono incessantemente battute da emissari delle società protestanti, che viaggiano sotto altri nomi, per carpire orfanelli e sventurate orfanelle ”.

Nei tragici momenti dei soccorsi così scriveva Don Orione: “ Povero me! Sento di essere solo e non ce la faccio più… Caro Don Sterpi, sono stanco; ve lo dico, non per complimento: sento proprio che il cuore si stanca e la testa non ne può più ”. Allora aveva solamente 37 anni.

A offrire a Don Orione un caloroso e fraterno sostegno vi fu anche il grande santo sociale di Messina, padre Annibale Maria Di Francia che ospitò spesso l'amico Don Luigi, con cui aveva intrapreso un carteggio fin dal 1900. Padre Annibale, nel Memoriale dei Divini Benefici (1909) così annotava: “ Quest'anno abbiamo avuto l'avvicinamento singolare di Don Orione che ha spiegato per noi grande protezione ed affetto ”. Don Orione fu il primo assertore della santità autentica di Padre Annibale, con il quale, dopo la breve parentesi della sua permanenza a Messina, si mantenne in frequente contatto epistolare.

Alla fine di tanto impegno e di sacrifici a beneficio dei terremotati e degli orfani, contro ogni previsione, nell'udienza pontificia del 15 giugno 1909, in cui alla destra del Papa c'era l'Arcivescovo di Messina circondato da alcuni chierici teologi della sua Diocesi, Pio X nominò Don Orione Vicario generale dello stesso D'Arrigo, tra la meraviglia di tutti. E Don Orione dovrà rimanere al suo posto a Messina, pur tra mille difficoltà, fino al 7 febbraio 1912, quando, ottenuto il beneplacito della Santa Sede, diede subito le dimissioni per tornare alla guida della sua Congregazione.

Aurelio Fusi

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