Arcidiocesi di Genova
Cattedrale, domenica 22.6.2008
Convegno Internazionale di Studi Orionini
“Fari di fede e di civiltà.
Il servizio alla vita debole
Come educazione alla civiltà dell’amore”
OMELIA
Carissimi Fratelli e Sorelle della grande Famiglia di San Luigi Orione!
E' un a gioia potervi accogliere in questa Cattedrale per la Celebrazione della Divina Eucaristia a conclusione del vostro Convegno Internazionale di Studi Orionini sul tema del “Servizio alla vita debole come educazione alla civiltà dell'amore”.
1. La scelta di Genova per questo significativo Incontro è segno di quel vincolo storico e spirituale che lega Don Orione a questa Città che – oltre ad ospitare diverse e importanti opere – venera, all'ingresso dell'antica cappella della Madonna della Guardia, la statua del Santo rimasto in ginocchio tutta la notte per invocare da Maria luce, consolazione e forza.
In forza di questo singolare e profondo legame, la Celebrazione Eucaristica nella Cattedrale – centro della Chiesa Particolare – acquista il sapore della fede e del cuore: della fede perché la Cattedrale è la sorgente simbolica e viva della Diocesi; e il sapore del cuore in forza dell'affetto consolidato e operoso che esiste tra La Città e la Famiglia di Don Orione. A questo riguardo si potrebbero ricordare non pochi episodi – piccoli e grandi – della stima concreta e riservata del Card. Giuseppe Siri. Oggi , dunque, siamo qui. Tocca a noi continuare una storia di fede e di carità secondo il carisma e lo stile del Fondatore: tocca a voi, Figli di Don Orione, e a tutti noi che non possiamo non respirarne la grande anima.
2. La pagina evangelica subito inquadra e illumina il Convegno: “Non temete gli uomini (…) Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”. Il richiamo è alla fiducia nella Divina Provvidenza. Don Orione la conosceva bene, la Provvidenza ! Poteva tracciarne gli innumerevoli volti, indicarne i nomi, forse a volte solo le fuggevoli e discrete apparizioni. La Provvidenza di Dio! Cari Amici, il richiamo al Dio Provvidente e buono non suoni mai inopportuno, perché è un forte richiamo alla fede, alla nostra fede. E, questo, ritengo essere oggi la prima fondamentale urgenza: la nostra fede. Esiste diffuso e radicato un sentire della fede nel popolo che si manifesta in modi innumerevoli, semplici, diretti, corposi, solidali, individuali o organizzati. Ma questa grazia grande chiama ancor più in gioco la nostra fede come religiosi, che il Signore Gesù ha chiamato ad una particolare vocazione e missione di grazia e di servizio. La qualità della nostra fede sta nella nostra preghiera che esprime e alimenta il nostro vivere riferiti a Cristo in ogni azione quotidiana. Quando viviamo in questo orizzonte di fede, allora parlare di Provvidenza non è mai pleonastico, tanto meno fuori luogo, ma naturale e necessario perché nasce dalla certezza che Dio è Padre e che nessuno è solo.
Veramente possiamo dire che se la carità è la verità della nostra preghiera, la preghiera è la forza della nostra carità. Potremmo tradurre anche così – ritengo – quel riconoscere Gesù davanti agli uomini, che è premessa per essere noi riconosciuti da Cristo davanti al Padre: noi e le nostre opere.
3. Sembra quasi singolare che anche oggi, all'alba del terzo millennio, in uno stadio di continui progressi tecnologici e scientifici, di avanzamento della coscienza sociale e civile nell'insieme del mondo, si debba parlare di “servizio alla vita debole”. Sembrerebbe che l'attenzione ai deboli nella vita, sia alta e ovvia quanto – per lo meno – è proclamata la dignità di ogni persona e quindi il suo diritto ad una vita buona. Ma così non è. Quanto più la linea delle possibilità avanza tanto più diventa necessario conservare o dare un'anima al progresso stesso, all'economia, all'organizzazione sociale: “non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento soltanto mediante l'amore” scrive Benedetto XVI ( Spe salvi , 26).
E nelle vostre strutture, nelle vostre opere, non toccate ogni giorno proprio questo? Cercate le tecnologie più avanzate per rispondere al meglio a problemi e debolezze vecchie e nuove, offrite un ambiente confortevole e accogliente, un'assistenza socio-sanitaria che sia eccellente…ma, alla fine, sotto ad ogni vostra pur giusta e doverosa tensione organizzativa, sapete che ogni uomo – tanto più se debole e ferito nella vita – cerca l'attenzione dell'amore, lo sguardo dell'amore, la parola o il silenzio dell'amore, la presenza d'amore che fa capire o sentire che, qualunque cosa accada, non è solo. Sì, perché più che le malattie ne uccide la solitudine e l'indifferenza: è questa, non altri limiti, che toglie la voglia di reagire e di vivere. E ancora torniamo all'origine: ogni espressione d'amore e d'affetto, di presenza e d'accompagnamento – ben lo sapeva Don Orione – o è il segno, un'eco dell'amore incondizionato e assoluto di Cristo, una carezza della Chiesa, un riflesso di cielo, un'eco di eterno, oppure resta nobile ma opaca, presente ma chiusa, efficiente nell'immediato ma incapace di generare speranza. E' ancora il Santo Padre che ci parla: “Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l'uomo è redento, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. E' questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha redenti” ( Spe salvi , 26).
Cari Amici, figli di una grande anima, vi dico grazie e vi esprimo la stima mia e dell'Episcopato italiano per la vostra presenza e per il servizio ai poveri e ai deboli nella vita. Da un parte offrite a chi è più esposto nella vita concepita, nascente, affaticata, malata e cadente, una presenza che accoglie e accompagna; ma, nello stesso tempo, con umiltà ma altrettanta chiarezza, ricordate alla coscienza sociale che deve essere attenta a non farsi prendere dal criterio dell'efficienza per giudicare l'uomo e la vita. La “vita buona” – come oggi si ama dire – non risponde ai canoni imposti dell'efficienza e della resa, dell'autonomia e della soddisfazione, ma quando è accompagnata e alimentata dall'amore di chi sta intorno. E' questo il criterio di giudizio autentico e onesto: criterio che è impegnativo per tutti e per ciascuno, per la società intera, che sa di dover legiferare su strutture idonee, ma di non poter legiferare sui sentimenti dell'amore e sul sacrificio personale e gratuito di ciascuno. Fuori da questo criterio, la vita malata e debole viene facilmente spezzata, magari con un singhiozzo di apparente pietà.
Per queste ragioni, possiamo ben dire – senza presunzione – che siete “fari di fede e di civiltà”, consapevoli che “nel più misero dei fratelli brilla l'immagine di Dio”. Continuate, fedeli al carisma e alla santità di Don Luigi Orione, e per amore della Chiesa e di quell'umanesimo evangelico che ispira la vera civiltà dell'amore.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
|